Bibliografia

Mela Hartwig, Inferno, Spider & Fish, Firenze, 2022.


«Il tempio brucia»

Scritto tra il 1946 e il 1948 Inferno, il romanzo di Mela Hartwig, è finalmente uscito anche in italiano
/ 04.07.2022
di Natascha Fioretti

«Ursula andava in giro per le strade senza una meta. La sua meta era la strada. Una qualunque. Aveva scoperto che ognuna di esse è un dettaglio della molteplicità della vita, il frammento di una realtà misteriosa che si nasconde alla nostra curiosità dietro l’impenetrabilità dei muri, ma non pone limiti alla nostra fantasia, intenta a ordire una finestra velata, un sorriso che aleggia per un attimo sul viso davanti a supposizioni, possibilità, probabilità, che mai le si rivela e quindi mai la contraddice. Dalle facciate della case si potevano indovinare i destini che si destinavano al riparo di quei muri (…) Le case nelle silenziose vie laterali (…) lasciavano indovinare che dietro a quelle loro facciate dimesse, incolori come disegni a penna (…), offrivano rifugio a persone che dalla vita non si aspettavano mai più di quel minimo di gioia che permette di esistere, e che mai ne avevano avuta di più; persone i cui cuori tiepidi non sono mai stati funestati dalle tentazioni con cui la passione avrebbe potuto assediarli, che non inciampano mai nella vanità, che non rimangono impigliati nelle trappole tese dall’ambizione, che quasi non osano neppure desiderare altro se non ciò che permette di riempire un misero borsellino, e che sono contenti della sorte perché son contenti di loro stessi».

Sentite anche voi l’energia, il ritmo, l’espressività della prosa quasi cinematografica di Mela Hartwig in queste righe che aprono Inferno, il suo romanzo da poco pubblicato in italiano da una piccola casa editrice indipendente che cura «Libri per pescatori di idee e tessitori di mondi».

Ebrea, nata a Vienna nel 1893, figlia del sociologo e filosofo Theodor Hartwig (il suo vero nome era Herzl ma convertitosi al cattolicesimo nel 1895 non voleva essere confuso con il sionista Theodor Herzl), diplomata in canto e recitazione, Mela Hartwig è stata attrice (recitò sul palcoscenico della Volksbühne di Vienna e dello Schiller Theater di Berlino) scrittrice e pittrice.

I suoi primi racconti escono nel 1927 sulla rivista «Die literarische Welt» grazie all’intercessione di Alfred Döblin che amò molto il suo racconto Das Verbrechen e fu suo mentore insieme a Stefan Zweig. In seguito escono la raccolta di novelle Ekstasen (1928) e il romanzo Das Weib ist ein Nichts (1929). Trasferitasi a Graz con il marito ebreo Robert Spira, avvocato, si dedica alla scrittura anche come giornalista. Ma quella che sulle prime sembra essere una promettente carriera sfuma con l’ascesa nazista. Nel 1936 per la casa editrice parigina Éditions du Phoenix esce il suo pamphlet politico sulla persecuzione degli ebrei e Mela Hartwig si guadagna il sospetto del regime. In Germania e in Austria nessun editore vuole più pubblicarla. Con l’annessione dell’Austria alla Germania del 1938, i coniugi Spira emigrano in Inghilterra e si stabiliscono a Londra. Mela inizia subito a lavorare come traduttrice e proprio attraverso il suo lavoro conosce Virginia Woolf che l’aiuterà spesso nei momenti di bisogno e alla quale dedica un saggio nel 1951.

Tra il 1946 e il 1948 scrive Inferno che non vedrà pubblicato, uscirà per la prima volta in Germania nel 2018 per le edizioni Droschl, dunque con 70 anni di ritardo. Il motivo però dell’arresto della sua carriera è anche un altro, come spiega Luigi Forte nell’ottima introduzione al romanzo, e cioè l’immagine della donna che la Hartwig coltiva nei suoi testi, molto lontana dalla Marlene Dietrich emancipata degli anni Venti berlinesi per intenderci, in cui le donne di uno dei primi paesi in Europa a ottenere il diritto di voto (1918) per essere scrittrici non dovevano più ricorrere a uno pseudonimo come George Sand o St Albin. Come spiega Luigi Forte, le figure femminili della Hartwig sognano libertà ed emancipazione mentre vanno incontro alla propria rovina. «Sono incapaci di dominare la loro stessa natura, vittime di una società maschilista a cui soggiacciono senza prospettive, alla ricerca di una identità professionale e affettiva sempre differita o di un equilibrio mentale che, di volta in volta, gli eventi rischiano di alterare».

A rendere Inferno un’opera di spessore confermando la Hartwig una grande scrittrice, così la definisce anche la critica letteraria del settimanale «Die Zeit» Gisela von Wysocki, sono anche altri importanti tratti. Intanto il punto di vista, il racconto femminile a caldo sulla Seconda guerra mondiale visto che il romanzo è stato scritto tra il 1946 e il 1948. In secondo luogo il tentativo di entrare nella testa di una giovane donna tedesca che sogna di diventare artista e deve decidere da che parte stare. Trovo illuminante il passaggio in cui la diciottenne Ursula iscritta all’Accademia di Belle Arti decide di seguire il fratello, già entrato nelle fila del partito, a un’adunanza politica. Vuole dare l’impressione di essere una di loro, placare i dubbi del fratello, in verità è ancora in bilico, combattuta tra il sogno di una carriera artistica alimentato dalla sua superbia creativa e il coraggio di aprire gli occhi e vedere la realtà. In questa occasione prende sopravvento il sogno, prevalgono le sue ambizioni individuali che trovano riscontro nelle atmosfere, nella foga e nella forza del gruppo: «Ebbe la soddisfazione di vedere il momento in cui la fiamma, divampata all’inizio solo nel cuore di un numero relativamente piccolo di proseliti, si era propagata come un incendio che qualcuno avesse appiccato, e poi anche quella che ormai era solo una remota eco del dubbio che si era insinuato in lei sotto l’influenza del suo amato e per amore di lui, cessò. Sentì che poteva di nuovo credere totalmente in un’idea, avvalorata da un così enorme successo».

La scelta, la consapevolezza, arrivano nella Notte dei cristalli in cui Ursula per caso assiste in prima persona a un pogrom antisemita e resta sconvolta dalle violenze dei nazisti nei confronti di una donna ebrea incinta mentre tra la folla si leva un grido terrificante «Il Tempio brucia». Inorridita confessa «Prima ero cieca ma oggi mi si sono aperti gli occhi. Vedo ciò che non vorrei ma che pure devo vedere. Vedo il sangue, che gronda dalle nostre mani».

La grandezza della Hartwig in quest’opera risiede non da ultimo nella sua riflessione sul comportamento delle masse anticipando Masse e potere di Elias Canetti del 1960. È la stessa Ursula a farne esperienza in quello che si rivela essere un testo fortemente autobiografico. La protagonista si rende conto «che nelle parole rivolte alle masse è insita una violenza inaudita, perché la parola che riesce a infiammare anche solo un individuo diventa la scintilla che si propaga dall’uno all’altro, e capì che in essa è connaturata una proprietà dinamica poiché le emozioni suscitate in una massa di cuori, uniti da un sentimento fraterno, non si sommano l’una all’altra ma si moltiplicano, e intuì che le parole hanno un potere magico pari solo all’alchimia, perché in esse la volontà del singolo, che le ascolta compiacendosi nel profondo del cuore, si fonde nella volontà della massa e la sua convinzione si trasforma in opinione di massa».

Concordo con Kathrin Hillgruber, critica letteraria, quando dice che è giunto il momento di riconoscere a Mela Hartwig il posto che le spetta nella storia della letteratura.