Uno «strumento del demonio», appartenuto a uno sciamano e scampato miracolosamente alla distruzione durante i processi alle streghe in Norvegia, è forse uno dei più originali artefatti al centro di dispute internazionali tra musei.
Si tratta di un tamburo di pelle di renna sequestrato oltre tre secoli fa a un lappone, come spesso vengono impropriamente chiamati i pastori di renne del Nord della Scandinavia: il termine con cui questo popolo identifica se stesso è «sami».
Al momento attuale, l’oggetto della contesa si trova presso il museo della cultura sami di Karasjok nel Finnmark, la contea norvegese con la più numerosa comunità sami. Lì è giunto nel 1979 per via di un prestito da parte del Museo nazionale di Copenaghen, che però ora lo rivuole indietro: l’accordo scade infatti il primo dicembre di quest’anno.
«I sami erano noti per la loro capacità di leggere il futuro e prevedere gli eventi», ci spiega lo storico norvegese Rune Blix Hagen, uno dei massimi esperti di processi alle streghe in Norvegia. «I missionari dell’epoca credevano che questi tamburi magici fossero un dono del diavolo, e che lo sciamano potesse evocare un demone che viveva nel tamburo stesso, in grado di informarlo su vicende che succedevano altrove. Dunque distrussero quasi tutti i tamburi, e cercarono di eradicare le credenze pagane dei sami». Inoltre, spiega Blix Hagen, si pensava che gli sciamani fossero in grado di lanciare delle fatture anche a grande distanza: alla fine del Seicento Peter Dass, pastore luterano e poeta norvegese di spicco, descrive queste maledizioni sotto forma di «mosche di Belzebù» che potevano volare verso il Sud, raggiungendo anche paesi lontani.
Ufficialmente riconosciuti come unico popolo indigeno dell’Europa continentale (oltre a loro ci sono anche gli inuit della Groenlandia), i sami, etnicamente e linguisticamente diversi dalle popolazioni scandinave, hanno subito per molti secoli discriminazioni e persecuzioni. Oltre a essere temuti per motivi religiosi, erano visti quasi alla stregua di selvaggi per il loro stile di vita in simbiosi con la natura. La loro lingua, incomprensibile per gli scandinavi di ieri e di oggi (non appartiene al ceppo indoeuropeo ma a quello ugro-finnico), non aiutava certo a chiarire i malintesi.
Tra il Sei e il Settecento, circa una trentina di sami furono condannati per stregoneria e messi al rogo nel Nord della Norvegia: erano in maggioranza uomini, sebbene in altri paesi europei la caccia alle streghe riguardasse quasi esclusivamente le donne.
La storia di questo cimelio inizia nel 1692 a Vadsø, nell’estremo Nord-Est, lì dove la costa norvegese, superato il punto più settentrionale, si incurva per poi terminare alla frontiera con la Russia. Sotto accusa finisce Anders Poulsen, uno sciamano centenario in possesso di un «runebomme», letteralmente «il tamburo delle rune». Era una struttura concava in legno ricoperta di pelle di renna decorata con simboli e figure stilizzate che rappresentavano, tra le altre cose, elementi della natura, animali e figure mitologiche.
Durante il processo (l’accusa era quella di aver praticato «l’arte empia e malvagia della stregoneria», come risulta dai verbali), Poulsen mostrò come, percuotendo la superficie con un martelletto di corno e osservando il movimento di un cerchietto di ottone che saltellava tra una figura e l’altra, fosse in grado di rispondere a un quesito o di prevedere il futuro.
L’anziano sostenne che sul tamburo c’erano molti simboli cristiani; ma forse stava soltanto cercando di giustificarsi, consapevole che, in altri processi analoghi, l’accusato aveva pagato con la vita la propria sincerità. Poulsen cercò di spiegare che a lui interessava guarire i malati, prevedere il futuro e riferire di avvenimenti svoltisi in luoghi lontani. Il giudice, non sapendo bene come regolarsi, decise di rimettere la decisione su un’eventuale condanna a morte all’amministrazione danese, visto che a quel tempo la Danimarca controllava anche il territorio norvegese.
Ma la sentenza non fece neanche in tempo a giungere: Poulsen fu ucciso nel sonno a colpi d’ascia da un giovane squilibrato la mattina dopo il processo. Successivamente il giudice portò il tamburo in Danimarca, dove poi è rimasto.
Ora i sami norvegesi chiedono a gran voce al governo danese di restituire loro in pianta stabile quest’oggetto così raro e prezioso, simbolo delle persecuzioni e ingiustizie subite per secoli.
La disputa attuale è tanto delicata da aver coinvolto, loro malgrado, perfino i sovrani dei due rispettivi paesi: Re Harald V di Norvegia e la regina Margrethe II di Danimarca.
E proprio alla sovrana danese si è rivolta con una lettera accorata Aili Keskialo, la presidente uscente del parlamento sami. «Al giorno d’oggi non abbiamo quasi nessun tamburo sul nostro territorio. Sarebbe molto significativo che quello di Anders Poulsen potesse essere posseduto, custodito e studiato in un contesto sami».
Anche Re Harald, cui i sami hanno chiesto di perorare la loro causa, ha diplomaticamente sottolineato che si tratta di una decisione che spetta al museo danese, ma che è comunque fiducioso che presto si arriverà a una soluzione.
Il museo di Copenaghen ha fatto sapere ai media norvegesi che la questione della restituzione è all’ordine del giorno, e che una decisione definitiva verrà presa entro la primavera.