Come qualsiasi «insider» dell’industria discografica ben sa, vi sono alcune regole imposte dal sistema che è molto difficile, per qualsiasi artista di un certo successo, riuscire a bypassare: e una delle più vincolanti è certo rappresentata dall’obbligo di pubblicare periodicamente nuove raccolte dei propri maggiori successi – i cosiddetti album «greatest hits», la cui importanza commerciale è, di fatto, tuttora indiscussa.
Così è anche per il quarantasettenne James Blunt, l’ex militare britannico salito alla ribalta internazionale nel 2005 con il tormentone radiofonico You’re Beautiful, romantico singolo apripista del fortunatissimo album di debutto Back to Bedlam. Blunt ha infatti appena dato alle stampe una retrospettiva dei suoi quasi vent’anni di carriera, sotto forma di un doppio CD dal titolo di The Stars Beneath My Feet (2004-2021). E sebbene si possa affermare che James non rappresenti forse una voce troppo originale in termini di songwriting, tuttavia egli ha dalla sua il fatto di essere un arguto cesellatore di ballate romantico-intimiste, rese particolarmente efficaci dalla propria interpretazione.
Blunt è infatti dotato di un timbro vocale inconfondibile, e di un evidente penchant per le melodie accattivanti e orecchiabili, eppure, allo stesso tempo, raffinate e mai davvero banali. In effetti, in termini di moderno cantautorato anglosassone, James Blunt costituisce un caso indubbiamente interessante, dal momento che il suo catalogo è ricco di potenziali hits – non soltanto tra i molti singoli, ma anche nelle pieghe e recessi più nascosti dei suoi album.
È per questo che The Stars Beneath My Feet non si limita a offrire i brani più noti per i quali Blunt è ricordato (principalmente risalenti alla prima parte della sua carriera), ma anche pezzi meno familiari al grande pubblico; accanto ai più datati singoli di maggior successo – tutti brani di spessore quali Wisemen, 1973, Same Mistake e Goodbye My Lover – troviamo infatti irresistibili brani uptempo quali Bonfire Heart, The Truth, Bartender e l’energico The Greatest (il cui video accompagnò il lockdown pandemico del 2020); nonché ballate di grande efficacia del calibro di Don’t Give Me Those Eyes, Cold, e, soprattutto, della straziante Carry You Home.
Non solo: come spesso accade con operazioni di questo tipo, destinate a voler essere appetibili sia per i fan di vecchia data sia per i fruitori casuali, la tracklist deve obbligatoriamente offrire anche qualche brano inedito a rendere l’acquisto del disco fondamentale – ed è quanto avviene con questa compilation, arricchita da ben quattro tracce incise appositamente per l’occasione. È però un problema il fatto che, sfortunatamente, il singolo di lancio Love Under Pressure non si riveli all’altezza del compito, trattandosi di un pezzo dai toni un po’ troppo easy listening (per non dire banali), oltretutto corredato da un video che vorrebbe probabilmente essere «di rottura», ma finisce per sembrare più che altro di dubbio gusto. Va un po’ meglio con il suo successore, Unstoppable – ma, soprattutto, con gli altri due inediti, molto più onesti sebbene, sfortunatamente, limitati alla sola presenza nella tracklist, senza i passaggi radiofonici invece garantiti a un singolo: Adrenaline e, soprattutto, il viscerale I Came For Love.
E poiché un’altra immancabile dotazione di ogni «greatest hits» che si rispetti consiste nell’aggiunta più o meno casuale di qualche nuova versione dal vivo tratta dal repertorio live dell’artista, The Stars Beneath My Feet non può esimersi dall’includere assaggi da concerti svoltisi a New York, Londra, Parigi e Glastonbury; ed è quasi un peccato che alcuni dei pezzi in fondo più onesti e vibranti dell’artista siano stati qui «relegati» alla sola versione del vivo – si vedano No Bravery, brano autobiografico incentrato sulle esperienze militari di James durante la guerra in Kosovo del 1999, e I Really Want You, perfetta espressione dell’ossessiva angoscia che caratterizza ogni tormentata storia d’amore.
È chiaro che, al di là dei suoi inevitabili limiti, questa raccolta riesce comunque nell’obiettivo più importante, ovvero quello di mostrare al pubblico il vero talento di Blunt: la sua capacità di combinare accenti radiofonici e orecchiabili con le sfumature di intensità cantatutorale su cui egli ha basato la sua intera carriera. Una dote particolarmente evidente in pezzi accattivanti quali The Truth, Halfway e Cold – ma, soprattutto, nel recente Monsters, forse il brano in assoluto più intenso mai inciso da Blunt: un tributo al padre morente, il cui effetto emotivo sul pubblico è stato tale da permettere di salvare la vita all’anziano genitore grazie a un tempestivo trapianto.
Sono, in fondo, exploit di questo spessore ad aver fatto di James Blunt uno degli artisti oggi più amati dal grande pubblico – uno status che, almeno a giudicare dall’eccellente panoramica fornita da quest’album, è più che meritato, e sarà molto probabilmente confermato anche dal futuro del cantante inglese.