«Il sarto del vento», come amano definirlo i parigini, si è spento all’età di ottantaquattro anni lasciandoci un’eredità che si estende ben oltre il mondo della moda, un’eredità fatta di leggerezza e una discrezione non sprovvista di giocosità che lo rendono unico. Creatore di vestiti (e non stilista), come amava definirsi, Issey Miyake concepiva le sue collezioni noncurante delle tendenze che danno filo da torcere a molti suoi colleghi. Non si lasciava influenzare dalle deadline serrate delle passerelle, si concentrava soltanto sulla propria visione della moda: libera, malleabile e amica dei corpi. La sua ricerca, durata più di cinquant’anni, è stata rigorosa e inarrestabile. Rivoluzionario, visionario senza mai cadere nel fanatismo ma al contrario vestendosi sempre di un’elegantissima modestia, Issey Miyake ci ha regalato un mondo fatto di incontri fruttuosi e inaspettati fra l’oriente e l’occidente, fra i generi, fra i materiali più disparati dalla resina al crine fino al washi (un tipo di carta tradizionale giapponese) che hanno dato vita a vere e proprie sculture in movimento, a poesie effimere che esaltano la nostra vulnerabilità.
Sempre in bilico fra materialità e astrazione pura, il geniale creatore giapponese ha focalizzato la sua ricerca sulla fragilità, tanto degli esseri umani quanto delle cose che li circondano. Reduce dell’atroce bombardamento di Hiroshima, dove è nato nel 1938, che l’ha reso, ancora molto piccolo, orfano di madre e che gli ha «regalato» un’andatura particolare causata da un problema osseo riscontrato quando aveva dieci anni, Issey Miyake ha vissuto sulla sua pelle questa stessa fragilità, la fugacità di un’infanzia che si è consumata in un istante, come un fiammifero spento da un potentissimo soffio. Sebbene non abbia mai veramente voluto parlare di questa tragica esperienza per paura delle reazioni compassionevoli che poteva suscitare, le immagini che gli sono rimaste impresse nella mente hanno molto probabilmente influenzato la sua concezione dei corpi, la sua visione del capo d’abbigliamento non come un simbolo di opulenza o un mero oggetto estetico ma come una vera e propria seconda pelle. Il vestito, così come la pelle, delicato ma indispensabile, serve allora d’involucro protettore d’una sensibilità unica, quella di chi lo porta. Alla stregua della pelle, il vestito deve adattarsi a ciascuno (e non il contrario), alle sue specificità morfologiche, alla sua età, alle sue preferenze di genere.
Lontano dall’egocentrismo che contraddistingue tanti stilisti, Issey Miyake ha sempre incitato le persone a impadronirsi giocosamente delle sue creazioni che, come diceva lui stesso, devono «essere viste dall’esterno ma vissute dall’interno». È in questo incontro fra la materialità del vestito e la sensibilità di chi lo indossa che si sprigiona tutta la magia del creatore giapponese. Emblematica di questo bisogno di lasciare le sue creazioni libere di adattarsi ai corpi che avvolgono è la storica collezione A-Poc (abbreviazione di «A Piece of Cloth») composta da vestiti tubolari creati a partire da un singolo filo grazie a performanti macchine da cucire industriali. Un progetto audace questo, presentato nel 1999 dopo quasi un decennio di riflessioni. I tubi di jersey, terribilmente complessi nella loro semplicità, sono ritagliati e messi in forma da chi intende indossarli seguendo le linee guida proposte dal creatore, trasformandosi, secondo il bisogno, in vestiti, calze, mutande, ma anche borse o berretti. Grazie a questa sorta di co-creazione i corpi perdono le classiche connotazioni stereotipate legate ai generi, all’età, ma anche all’etnia o all’handicap per trasformarsi in pura materia, malleabile, delicata e libera. Sempre controcorrente, il maestro giapponese dà in un certo senso meno importanza al vestito che alla persona che lo indossa, o meglio non concepisce l’uno senza l’altro.
Grazie alle sue creazioni elegantemente fluide e spregiudicatamente austere che uniscono magistralmente eleganza e tecnologia, Issey Miyake è riuscito a liberare i corpi dai diktat della moda. Categorie fittizie come quelle di «femminilità», «mascolinità», taglia, peso, altezza, età, colore della pelle e molte, molte altre si mescolano, perdono qualsiasi significato guadagnando una fluidità e una libertà di movimento fondamentali. Secondo una concezione della moda incentrata non sulle forme o le taglie (quella della maggior parte degli stilisti occidentali) ma sul movimento, solo e unico motore della vita, il vestito ideale di Miyake è fatto di pura illusione, di un solo, potente soffio di vento. Visionario, il designer giapponese ha di sicuro inventato la moda genderless (ma anche ageless, raceless, ecc.) prima che il termine fosse sulla bocca di tutti.
La tecnica della plissettatura che l’ha reso iconico e che prende vita con la linea Pleats Please, sviluppata nel 1993, serve a Miyake per realizzare uno dei suoi più grandi sogni: quello di permettere a chi indossa i suoi vestiti di muoversi liberamente senza temere che questi si deformino o si sgualciscano. Le geniali plissettature che colonizzano vestiti, giacche, pantaloni, camicie e molto altro danno vita ad un’osmosi naturale fra corpo (qualsiasi corpo) ed indumento, permettono in un certo senso a chi indossa le sue creazioni di dimenticarsene, di vivere il corpo liberamente, in modo provocatorio e ludico. I vestiti che compongono la rivoluzionaria linea Pleats Please sono allo stesso tempo belli e funzionali, pratici, ingualcibili e terribilmente originali. Un po’ come l’intramontabile tubino nero o l’immancabile t-shirt bianca portata con un classico jeans Levi’s, le creazioni plissettate di Miyake emanano una sorta di nonchalance che le rende iconiche. Libero dall’egemonia della forbice che guida la mano della maggior parte degli stilisti occidentali, Issey Miyake concepisce il suo mestiere come un designer, riflette in termini di volumi e di spazi. Grazie alla sua visione della moda, corpo e indumento smettono infine di lottare per unirsi in modo intelligente rispettandosi mutualmente, riconoscendosi nella fragilità di un presente che Miyake ha saputo trasformare in magia.