Prima che la sua carriera musicale diventasse una carriera, Rickie Lee Jones sbarcava il lunario lavorando come segretaria in un ufficio che serviva a coprire le attività malavitose di un gangster di Los Angeles chiamato Rocky. Era il 1977. Il suo ruolo era dare un’idea di rispettabilità a un giro d’affari che di rispettabile non aveva nulla. Essendo un lavoro di facciata, le ore inoperose erano molte e Rickie Lee ne approfittò per scrivere alcune canzoni che sarebbero diventate parte del suo album d’esordio. Un giorno arrivò lo sceriffo e fece chiudere.
La Jones non ricevette lo stipendio, ma ricevette qualcosa di più prezioso, un consiglio della madre che, saputo del suo licenziamento, le disse: «Hai sempre voluto fare la cantante. Non rinunciare al tuo sogno. Non mollare ora». Due anni dopo Rickie Lee Jones, allora 24enne, aveva un disco ai primi posti delle classifiche, era fidanzata di Tom Waits ed era sulla copertina di «Rolling Stone». Era la più interessante artista femminile del mondo musicale.
Oggi Rickie Lee Jones ha attraversato quattro decenni di musica, vivendo anche fasi di vita complicate e momenti di oblio. La sua recente autobiografia che porta il titolo di una delle sue canzoni più belle, Last Chance Texaco (non ancora edita in italiano), racconta sia la vita della sua famiglia, sopravvissuta alla povertà estrema, sia le sue sfide personali. Il suo ultimo album è Pieces of Treasure (BMG) e si ricollega al suo passato in molti modi. Il disco infatti la vede riarrangiare classici del repertorio della tradizione americana di inizio Novecento e tornare al lavoro con Russ Titelman che produsse i suoi primi due album, oggi giudicati capolavori.
Rickie Lee Jones ci racconta questo nuovo capitolo musicale da New Orleans, una città che vive di musica e che oggi è la sua casa: «Il disco è nato quando Russ ha preso il controllo diventando il produttore. Abbiamo deciso che ci saremmo attenuti a un determinato repertorio, quello del Great American Songbook. Abbiamo scelto una band di musicisti e provato le canzoni al piano, decidendo ritmi e arrangiamenti». Ne è uscito un disco di jazz tradizionale con composizioni senza tempo come There Will Never Be Another You, September Song, Here’s That Rainy Day e On the Sunny Side of the Street. «La presenza di Russ – prosegue Rickie Lee – mi ha dato molta più disciplina del solito, aiutandomi a stare sui binari. Ero così contenta del lavoro che stavamo facendo che non ho mai sentito il bisogno di cercare di cambiare le regole a metà dell’opera». Il jazz e gli standard della canzone americana hanno sempre fatto parte della cultura musicale della cantante anche perché era la musica che ascoltava in famiglia. In passato suoi album come The Magazine (1984) e Pop Pop (1991) sono finiti ai primi posti delle classifiche jazz americane. «Avere accanto una persona molto competente – dice – ha fatto sì che il lavoro andasse in una direzione precisa. Tendo ad avere sempre troppe idee creative e ho bisogno di qualcuno che aiuti queste idee ad emergere ma che sappia anche dire “basta!”. Perché a volte non so quando fermarmi».
È proprio questo eclettismo che ha spesso disorientato il grande pubblico di fronte ai dischi della Jones che non si è mai sentita in dovere di seguire dei cliché. «Quando una performance è usata per qualcosa d’altro rispetto alla purezza della performance stessa, accadono solo cose brutte», ha scritto nelle sue memorie. E anche qui non manca comunque una lettura sempre unica e originale. Ne è un esempio particolare Nature Boy, vecchio brano interpretato da Nat King Cole e rielaborato in chiave mediterranea. Il disco sarà accompagnato da un tour che partirà dallo storico club newyorkese Birdland e che approderà anche in Europa: «Mi piacerebbe partecipare a qualche festival jazz – confessa la Jones –, potrei confrontarmi anche con spettatori che non mi conoscono. Ai miei concerti infatti vengono soprattutto i miei fan, un pubblico devoto che vedo ormai in compagnia dei loro figli e dei figli dei loro figli». Ma questo accade un po’ per tutte le icone della musica.
Le facciamo i nomi di alcune artiste che hanno seguito le sue tracce: Suzanne Vega, Tori Amos, Sheryl Crow, Norah Jones, Fiona Apple, Cat Power, Diana Krall e anche Alanis Morissette. Da quante di loro ha ricevuto attestati di gratitudine? Rickie Lee risponde con un sorriso: «Non molte. Non è facile, soprattutto per le artiste donne, riconoscere le proprie fonti di ispirazione. Ci vuole molta fiducia per ammetterlo e ci sono anche buone ragioni per non dire certe cose, perché si rischia che qualche giornalista le etichetti come non originali e derivative e le sminuisca. C’è inoltre molta competizione tra di noi. Tori Amos è un’eccezione e nei suoi concerti interpreta sempre il mio brano On saturday afternoons 1963. Ma non accade spesso. Una cantante che hai nominato ha detto di non aver mai neppure ascoltato un mio disco. In verità ci influenziamo tutte l’una con l’altra, anche le più giovani sono ispirazione per chi le ha precedute».
Nella sua autobiografia Rickie Lee Jones racconta molto bene come sia difficile, e a volte pericoloso, per una donna intraprendere una propria strada personale, originale, lontana da stereotipi. Ma il consiglio che le diede la madre tanti anni fa si è rivelato giusto e ci ha regalato un’artista unica, spesso imitata, ma forse inimitabile.