La storia di un uomo si legge nelle sue cicatrici. Omar Pedrini (nella foto) ne ha accumulate fin troppe. Una condizione cardiaca precaria lo costringe, ormai da quasi vent’anni, a periodici interventi chirurgici che lui ha sempre affrontato con lo spirito degno di uno dei suoi soprannomi, «il guerriero». L’ex leader della rock band Timoria, delle sue cicatrici va orgoglioso tanto da averle esibite anche sulla copertina della sua biografia Cane Sciolto (scritta con Federico Scarioni) in un bellissimo scatto del compianto grande fotografo Giovanni Gastel. Le cicatrici però non si vedono nella sua musica e il suo nuovo album Sospeso, il primo in sei anni, è una celebrazione della vita, un invito alla speranza e a condividere le sfide delle nuove generazioni.
Sospeso arriva dopo sei anni di silenzio discografico…
Dopo il primo episodio cardiaco grave che accadde nel 2004, quando avevo appena vinto il premio della critica a Sanremo, mi ero abituato a una routine di controlli medici e di pause dalla musica. Nei periodi di convalescenza forzata ho collaborato con la televisione e lavorato nel mondo dell’enologia in cui ho avuto un grande maestro come Luigi Veronelli. Nonostante i miei problemi di salute non ho mai voluto abbandonare la musica del tutto. Sono e rimango un musicista, continuo ad esibirmi quando posso ma ormai compongo nuove canzoni solo quando sento davvero che c’è qualcosa di nuovo da esprimere.
La tua vicenda personale è un filo conduttore di alcuni dei brani della raccolta.
Questi ultimi due anni sono stati molto duri. Ho avuto la necessità di un nuovo intervento, messo in pausa forzata per colpa del Covid. Dopo l’operazione, la brutta notizia di dover tornare in sala operatoria per un nuovo problema… e poi le riabilitazioni in isolamento dalla mia famiglia a causa della pandemia. La canzone che apre l’album, Dolce Maria, è un’Ave Maria laica. In questi mesi non ho mai avuto paura, perché sono stato fin da bambino un temerario, ma la spiritualità mi ha aiutato. Sono un anarchico, pacifista, e non ho mai avuto un dogma o una religione. Sono sempre stato vicino alle filosofie orientali che avevano ispirato molte canzoni dei Timoria. Ma ho riscoperto, con una scelta molto trasgressiva per chi mi conosce, la figura di Maria. La vedo come un personaggio storico che non appartiene solo alla religione cristiana. Un simbolo forte di una donna fiera e coraggiosa. La madre di Gesù che oggi che ho cinquant’anni, vedo sempre più come un giovane, un ragazzo, un figlio. Un ribelle, il primo degli hippie e il primo dei socialisti.
Il disco guarda però alla nuova generazione e soprattutto ai ragazzi impegnati nelle campagne ambientaliste.
Il disco è dedicato a loro. L’ecologia per me non è una scoperta di oggi. Già nel 1994 con i Timoria pubblicai l’album 2020 Speedball. Era frutto dei miei studi universitari. Un libro dal titolo State of the World affermava che la nostra generazione, quella dei nati dalla fine degli anni ’60 e che sarebbe stata definita X Generation, era destinata a essere la prima che riceveva in eredità un pianeta nelle condizioni ambientali, sociali ed economiche peggiori rispetto alla generazione precedente. Oggi ho due figli piccoli, ma ai tempi avevo 26 anni, ero diventato padre per la prima volta, cercai di immaginare in che mondo avrebbe vissuto mio figlio quando avrebbe avuto la mia età. Non avrei ovviamente mai pensato che il 2020 sarebbe stato drammatico come quello che abbiamo vissuto. Alcune canzoni di quell’album sembrano oggi profetiche.
Il tema del cambiamento climatico è trattato nel singolo Diluvio universale, in Col fiato sospeso e ne La giusta guerra, dove canti: «Combatti per la terra, è l’unica giusta guerra». Come giudichi le azioni che i giovani ambientalisti stanno portando avanti?
Non si possono non difendere questi ragazzi. Sono pacifisti e non violenti, anche se talvolta usano metodi discutibili. Da amante dell’arte soffro a vedere offeso un quadro o la fontana di Trevi, ma hanno trovato un modo di farsi notare senza far male a nessuno. Io mi ricordo la generazione che protestava nelle università con le molotov. Loro vogliono il dialogo. E noi non li ascoltiamo. Bisogna dare certezze, dire loro che abbiamo un piano per rinunciare al fossile. Fare qualcosa. Non processarli. Il rischio è che vengano strumentalizzati, infiltrati e la loro battaglia pacifica si trasformi in violenza. Sensibilizzare serve, ma ormai non è più abbastanza. C’è bisogno di atti concreti.
Ma anche il rapporto con la natura è un rapporto spirituale…
Certo. Io sono anche un contadino e questo disco nasce dalla campagna. In Toscana, nella bassa senese, ho una piccola tenuta che era appartenuta a mio padre dove faccio l’olio e il vino. Qui ho portato la mia band e qui sono state incise tutte le canzoni. È zona etrusca e nell’album il brano Ombre Etrusche rievoca le suggestioni di queste terre. Volevo distaccarmi da Milano, sentivo che questo disco così personale e nello stesso tempo così universale doveva nascere a contatto con la natura. Io sono «sospeso», ma sospeso è anche il mondo. Parlo di me, ma anche di quello che sta accadendo intorno a noi.
Guardi anche al passato con un brano dedicato agli anni ’80 e un nuova versione di Fresco uno degli ultimi brani dei Timoria.
Plastic Killer è un brano new wave che ricorda quando da Brescia andavamo a Milano per la sua scena musicale e culturale. Questo disco è dedicato anche ad amici punti di riferimento della città che sono venuti a mancare negli ultimi anni: Andrea Pinketts, Giovanni Gastel, Matteo Guarnaccia e Tommaso Labranca. Milano è diventata più ricca, ma è culturalmente più povera. Fresco era nell’ultimo album dei Timoria, la colonna sonora del film Un Aldo qualunque. La scrissi dopo una delusione amorosa, ma mi è tornata in mente in questi mesi di ricoveri e convalescenze. Ai tempi dovevo uscire da una storia d’amore sofferta, adesso mi sono trovato a cercare di uscire da una malattia contro cui continuerò a combattere.
L’album si chiude con Mangia ridi ama e tanta di voglia di vivere.
Lawrence Ferlighetti il poeta della beat generation e mio grande amico aveva uno slogan: «Ridi spesso, mangia bene e ama sempre». Ha vissuto fino a centouno anni, rimanendo sempre un bambino. Ho pensato a lui e a mio figlio, Leone Faustino, che oggi ha due anni. Voglio che mio figlio abbia un futuro e viva una vita lunga e intensa come quella di Lawrence. È per questo che penso che ora sia il momento di agire e di difendere il mondo che abbiamo. E io voglio essere in prima linea.