Quasi quarant’anni dopo Max Frisch torna sulla scena ticinese. Era il 1983 quando il Teatro della Svizzera italiana debuttava con Omobono e gli incendiari e La grande rabbia di Filippo Hotz. Se uno dei nostri più rappresentativi scrittori è riapparso lo si deve al Teatro Sociale di Bellinzona che ha coinvolto la regia di Flavio Stroppini, gli attori Rocco Schira e Margherita Saltamacchia, per dare veste teatrale a L’uomo nell’Olocene, romanzo di Frisch pubblicato nel 1979. Ha così debuttato e appena concluso le repliche Olocene, adattamento di Stroppini con Monica De Benedictis della storia del signor Geiser, cittadino di Basilea che, dopo aver scelto una valle ticinese per stabilirsi e invecchiare in santa pace – la si riconosce, è l’Onsernone – un giorno viene bloccato nel suo rustico da una frana causata dai forti temporali. Isolato, sente che la sua memoria vacilla. In lui si fa strada l’ansia di non riuscire a ricordare più nulla, di sé, del mondo. Inizia così a seminare tracce di memoria su foglietti che appunta alle pareti.
C’è anche la figlia Corinne, con lui sebbene distante. Padre e figlia sono uniti in un monologo a due in cui, senza alterarne il contenuto, l’introduzione della parola papà, permette a Corinne di appropriarsi di battute che altrimenti apparterrebbero solo a Geiser. Il tutto fra tre pannelli in plexiglas avvolti da una bella colonna sonora. Bravi gli attori e meritati applausi del pubblico.
La commedia del primo Eduardo
Il Teatro di Locarno ha inaugurato il suo cartellone con Ditegli sempre di sì di Eduardo De Filippo. La commedia, una delle prime da lui scritte (1927), mostra gli albori di contorni netti, per stile e contenuti, caratteristici di intense e variegate stagioni drammaturgiche. Michele, appena uscito dal manicomio, torna a casa dalla sorella, vedova e premurosa, la sola a conoscere i suoi trascorsi di pazzia. Solo apparentemente guarito, Michele è il burattinaio di situazioni inattese e grottesche nei confronti dei personaggi che gli ruotano attorno, mettendo in evidenza una confusione mentale che nasce da una puntigliosa ossessione per il senso delle parole.
Una commedia esemplare per l’intuizione della scrittura, dalle sfumature pirandelliane, meno per l’efficacia del suo allestimento diretto da Roberto Andò, che propone un’opera datata ma sorretta dalla bravura di Gianfelice Imparato, protagonista con una compagine di caratteri tradizionali e vivacemente sopra le righe.