Il primo dopo Verdi

Alla Fenice di Venezia un’ambiziosa partitura porta sulle scene una trama shakespeariana, il Riccardo III
/ 02.07.2018
di Enrico Parola

Giorgio Battistelli è uno dei compositori italiani più quotati e richiesti, nel suo catalogo figurano oltre venti opere liriche tra cui CO2 commissionatagli dal Teatro alla Scala per Expo 2015. Eppure il Richard III che in questi giorni debutta in Italia, alla Fenice di Venezia, suscita un’emozione e una trepidazione speciali nel 65enne musicista romano: «Perché prima di me l’ultimo italiano che aveva trasformato in melodramma il teatro shakespeariano era Verdi; a lungo avevo sognato di arrivarci anch’io, ma quando ho iniziato a capire che il sogno poteva davvero trasformarsi in realtà mi sono tremate le vene e i polsi». Non solo per l’enormità dell’autore con cui confrontarsi, ma per il pudore ad entrare nella storia della musica direttamente dalla porta principale: Verdi aveva messo in note Macbeth nel 1847, quarant’anni dopo Otello (anche Rossini) e nel 1893 Falstaff (dalle Allegre comari di Windsor. Poi per 112 anni nessun altro.

Finché è arrivato lui, col Riccardo III. «Perché questo titolo? Era già parecchio tempo che volevo scrivere un’opera sul potere, ma non trovavo mai l’idea giusta e mi trovavo sul tavolo idee o proposte che non mi convincevano; proprio nei mesi in cui decisi di affrontare Shakespeare c’era una richiesta per comporre un’opera su Nureyev». C’è però un altro motivo: «Sapevo benissimo che nessuno quanto il Bardo aveva mostrato su un palcoscenico teatrale che cosa l’uomo può diventare o può fare quanto è preso dal potere, ma forse non avevo mai osato avvicinarmi».

A convincerlo è stato Ian Burton, poeta, letterato e alla fine autore del libretto dell’opera, così come per Verdi erano stati Maffei, Piave e Boito. Ma forse osando ancora di più di quanto avessero fatto gli illustri predecessori: «Burton ha voluto mantenere in tutti i momenti cruciali i versi originali di Shakespeare, e infatti il libretto è in inglese. Pensi che impressione può fare mettersi a lavorare sulle parole di Shakespeare per rivestirle di note, in quale mondo ci si trova immersi seguendo la sua narrazione». Anche se dopo il timore reverenziale dell’inizio «la matita è iniziata a correre sul pentagramma, senza mai più fermarsi; l’ho musicata in 14 mesi, dall’inizio alla fine senza saltare una sola parola».

Nonostante si trovasse davanti a personaggi di una complessità e profondità impareggiabili, ad iniziare ovviamente da Riccardo III: «Un uomo ossessionato dal potere fin da quando suo fratello Edward diviene re. Fa uccidere l’altro fratello George e quando Edward, sentendosi colpevole, muore di dolore ne fa rinchiudere i due figli e legittimi eredi al trono nella torre di Londra, adducendo falsi motivi di sicurezza. Mi impressiona la falsa modestia e l’affettata ritrosia con cui “accetta” dal popolo di Londra di essere incoronato, mentre già sta macchinando altri crimini per ottenere il potere». La musica cerca di amplificare questa ossessione: «Sonorità cupe, gravi, ritmi talvolta assillanti; ma allo stesso tempo è una musica seducente, così come lo è Richard, che sa affascinare non solo i familiari ma anche i sudditi. E alla fine sa anche essere tremendamente ironico, quando offre il suo regno per un cavallo: sembra una boutade, invece è il tardivo riconoscimento e l’amara ammissione della vanità e della vacuità del potere».

Battistelli, trattandosi di musica, non ha potuto riflettere su Shakespeare prescindendo da Verdi: «Anzi, non sono in grado di contare le volte che ho visto e ascoltato il suo Otello. Non per copiarne stile e linguaggio, ché anzi il mio è profondamente diverso, ma per capirne la drammaturgia: Verdi era un genio drammaturgico, sapeva sempre trovare il ritmo teatrale perfetto – va sottolineato come la lirica abbia leggi e dinamiche sue, ben diverse da quelle della prosa. Le sue opere non languiscono mai, non c’è mai un passaggio a vuoto o un calo della tensione drammatica». È probabilmente la stessa osservanza della struttura verdiana ad aver ispirato a Battistelli «un’opera formalmente assai tradizionale, con arie, duetti, terzetti, scene d’assieme come la grande battaglia dove si confrontano due cori distinti». A cui vanno aggiunti un altro coro, di bambini e ben sedici personaggi: «Alla fine è risultata un’opera esigente ed ambiziosa: 700 pagine divise in due volumi per due ore e mezza di musica; forse per questo ha dovuto aspettare per essere allestita in Italia». Richard III era infatti stato commissionato dalla Vlaamse Opera di Anversa, dove era andata in scena il 30 gennaio 2005; tredici anni da quel debutto alla «prima» italiana sono tanti, anche se Battistelli vuol tenersi lontano da ogni polemica: «Certo, in Italia si ha paura ancor più che proporre opere contemporanee a investire risorse negli allestimenti: si teme che venga poco pubblico e quindi pensano che sia inutile investire troppo nella messinscena. Credo sia più altro questo il motivo per cui in Italia Richard III ci ha messo così tanto ad arrivare».

Era rimasta sei-sette anni sul tavolo del Teatro Regio di Torino («piaceva molto all’allora direttore musicale Gianandrea Noseda»), ma non se n’è fatto nulla. «Poi un giorno mi arrivò la telefonata del sovrintendente della Fenice, Fortunato Ortombina; mi disse che aveva appena finito di suonare al pianoforte la partitura e ne era rimasto entusiasta. Non so se rimasi più sorpreso dal fatto che finalmente Richard III arrivasse in Italia o che un sovrintendente invece di bilanci e libri contabili leggesse pentagrammi».

Altra piacevole sorpresa è essersi visti affiancare da uno dei registi più importanti d’oggi, Robert Carsen: «Un privilegio lavorare con lui, non solo perché è un genio teatrale, ma perché è l’unico regista oltre a Ronconi che ho visto provare sul palco tenendo in mano la partitura: conosce e capisce nel profondo la musica, la rispetta e cerca di farla emergere attraverso le scene e i gesti, come la scena dell’incoronazione dove Riccardo si mette a fumare: lì c’è tutto l’estro di Carsen; e spero tutta la mia musica».