Il potere devastante del sospetto

Nel nuovo film «Il cliente» – premiato al Festival di Cannes – il regista iraniano Asghar Farhadi è ritornato all’urgenza dei problemi del suo Paese
/ 27.02.2017
di Fabio Fumagalli

*** Il cliente, di Asghar Farhadi, con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi (Iran 2016)

Premio per la migliore sceneggiatura e per l’interpretazione maschile all’ultimo Festival di Cannes, Il cliente conferma quanto l’iraniano Asghar Farhadi faccia parte della ristretta cerchia dei cineasti capaci di alleare una magistrale padronanza espressiva all’acume dell’analisi sociale, politica e quindi psicologica del nostro tempo. Reduce dalla sua prima esperienza all’estero (Le Passé, 2013) il regista è ritornato all’urgenza dei problemi di casa sua; alle angustie dell’intimo, dell’ambiguità nei rapporti privati all’interno dei claustrofobici spazi domestici come riflesso della disgregazione pubblica esterna. Un procedimento prediletto, sublimato alla perfezione in Una separazione, il capolavoro che al suo quinto lungometraggio lo rese celebre nel 2011.

Con Il cliente il cineasta sembra voler prolungare e approfondire la dimensione delle sue favole morali: in una sceneggiatura dalla caratura impressionante che, dopo le prime scaramucce aneddotiche, si impone allo spettatore, accumula nuove deviazioni drammatiche, sollecita le tensioni del thriller, suggerisce metafore politiche, sorprende destabilizzando le psicologie.

Emad e Rana, compagni nella vita e colleghi sul palcoscenico, sono costretti a traslocare da uno stabile disastrato del centro di Teheran: si ritrovano in un nuovo appartamento, dal quale il precedente affittuario rifiuta però di sgomberare del tutto. Una faccenda imbarazzante, soprattutto quando si verrà a sapere che si trattava di «una donna dai numerosi accompagnatori», per usare la formula cara alla censura locale. Ma una situazione che si farà drammatica ed equivoca quando Rana verrà aggredita da uno sconosciuto e trovata dal marito insanguinata nella doccia.

Un incidente, che la giovane vorrebbe dimenticare e il marito, almeno inizialmente, denunciare. E questo prima di iniziare una propria indagine, destinata a trasformarsi in una caccia all’uomo. Prima, soprattutto, di identificarsi progressivamente con gli umori della pièce teatrale che la coppia sta per mettere in scena, Morte di un commesso viaggiatore.

Poderoso architetto di storie, formidabile direttore d’attori, regista dall’esperienza teatrale prima ancora che cinematografica, Asghar Farhadi costruisce su questo parallelismo con l’universo di Arthur Miller la chiave di volta del film. Emad è inizialmente un individuo calmo e riflessivo, ma l’ambiguità della situazione, l’intervento fuorviante dei vicini, il clima della società circostante finiscono per mutare la sua collera comprensibile in una violenza premeditata inaccettabile. Peggio, in uno sguardo progressivamente alterato sulla sua compagna di vita. I suoi giovani allievi gli avevano ben posto il quesito all’inizio: «Ma come può un uomo trasformarsi in bestia?». Allora, la sua risposta era stata: «Progressivamente...».

Film del sospetto che subdolamente s’installa, restringe i confini fra il giusto e l’ingiusto, volge l’onestà in doppiezza, e infine la trasparenza dell’amore nella palude della diffidenza, Il cliente s’impone per il peso morale e politico di una costruzione ambiziosissima, capace di significarsi in tante direzioni. Non sempre la metafora delle sequenze teatrali risulta chiarissima; mentre l’inarrestabile progressione dei dialoghi colti da una camera inquisitrice dall’indubbia maestria affronta qualche rischio d’indulgere nella dimostrazione. Ma è proprio grazie a quel suo modo di non rassegnarsi alla facilità del luogo comune che le qualità e il coraggio del film s’impongono allo spettatore.