La Pandemia, come tutti gli stati di eccezionalità, di forza maggiore, ha generato immaginari e storie. Storie di medici, di malati, storie di famiglie, di giovani e vecchi, di agonia e di morte, soprattutto, storie nelle storie, quelle del passato, ferite dentro le comunità, piccole e grandi.
Di questo enorme giacimento di esistenze Gigi Riva, reporter e inviato speciale di guerre e questioni mediorientali per il «Giorno» e «L’Espresso», di cui è firma autorevole, ma anche autore di romanzi, L’ultimo rigore di Faruk (Sellerio), Non dire addio ai sogni (Mondadori) tra gli altri, isola un microcosmo che conosce, il suo, quello delle radici, essendo originario di Nembro, un piccolo paese in provincia di Bergamo tra i primi colpiti duramente dal Covid 19, con il quale ha un rapporto intimo, di conoscenza profonda, e qui stabilisce un campo narrativo ad ampio raggio, fa di un piccolo mondo, una geografia interiore, il mondo intero, che diventa un libro ibrido tra giornalismo d’inchiesta e reportage, Il più crudele dei mesi (Mondadori Strade Blu, 195 pp, 18 euro), che è anche l’incipit de La terra desolata di Thomas Stearns Eliot, un poemetto in cinque movimenti.
La globalizzazione collega direttamente e improvvisamente la Valle Seriana alla Cina nel febbraio del 2020, colpisce quelli che Riva definisce «amici, conoscenti, o semplici volti noti nel panorama umano del mio paese». L’autore, abituato a muoversi nelle zone più calde dei conflitti, a chi paragonava questo evento a quelli bellici amava rispondere con la battuta di spirito: «Dalla guerra si esce denutriti, dalla pandemia usciremo obesi», eppure al cimitero del suo paese sulla lapide che ricorda i caduti «ci sono 126 nomi per la Prima guerra mondiale, 98 per la Seconda.
Di Covid 19, tra la fine di febbraio e aprile 2020, sono morte 188 persone su una popolazione di 11’500 abitanti», numeri che solo a leggerli fanno spavento. Oggi queste 188 vite sono tutte raccontate dentro questo libro, i loro intrecci, le loro epiche minori, il loro coraggio, la paura, i sogni, da Franco Orlandi, ex camionista, il primo morto «ufficiale», al «Roccia», alpino e muratore inossidabile, a Suslov, come era soprannominato il novantaduenne Giulio Bonomi «per la stretta somiglianza con il severo depositario dell’ortodossia sovietica» Michail Andreevic, falegname autodidatta e comunista scissionista seriale, anche lui morto di Covid, o il «Firlo», «settantadue anni, ex funzionario della Farnesina con missioni in Venezuela, Cina, Guinea», Silvio Adobati, gregario di Fausto Coppi fondatore del Dancing Europa, oppure monsignor Achille Belotti, «cappellano degli emigranti in Belgio, a Waterschei», invece che l’intellettuale Tullio Carrara, il bibliotecario che anche da pensionato teneva lì gratuite lezioni di latino, perché «I soldi servono per vivere dignitosamente. Il resto, al vans tot. Avanza tutto», debitamente citati dal primo all’ultimo con la data di decesso e in ordine di morte al fondo del libro. Così come dal «piccolo mondo antico del cortile» l’anziana madre dell’autore, la José, un altro prezioso occhio che scruta nel microcosmo lombardo e racconta la peste silenziosa che decima soprattutto i suoi coetanei, attacca corpi già debilitati, quelli della popolazione anziana di Nembro, perché «Tutto l’Occidente è anziano». Una Spoon River nostra contemporanea e corale, che è subito Storia, dove si incontrano nello stesso punto di fuga i destini di chi ha un ruolo di responsabilità all’interno della comunità, quindi politici, preti, medici, l’impiegata dell’anagrafe, il presidente del Motoclub che fu campione del mondo, ma anche la dama della San Vincenzo, il factotum del cine-teatro, l’ostetrica, in un luogo appunto ancora socialmente coeso e comunitario, dove come riferisce il sindaco di Nembro Claudio Cancelli, parlando della vivacità del suo paese, «le possibilità di aggregazione che erano la nostra forza, si sono trasformate in un punto di debolezza», aumentando la possibilità di contagio.
Ne viene fuori anche un romanzo sociale della provincia italiana, quella operosa fatta di 376 aziende, 3700 dipendenti e 680 milioni di fatturato l’anno, «fabbriche d’eccellenza come Cartiere Pigna, Polini Motori, Persico Group», gente che, come avverte il sindaco di Bergamo Gori, ha «una cultura del lavoro da essere diventata, da punto di forza, una fragilità, perché ci ha reso difficile capire che dovevamo fermarci». Il romanzo della vita che si ferma, si spegne all’improvviso in «un marzo sfavillante di luce, di sole già caldo, di giornate inutilmente allungate. Raro nella sua possente esplosione vitalista a queste latitudini. Il più crudele dei mesi era un ossimoro. Rinchiusi nelle loro case, i nembresi guardavano dalla finestra la stagione che fioriva come fossero pesci in un acquario».
Bibliografia
Gigi Riva, Il più crudele dei mesi, Milano, Mondadori, 2022.