Claude Monet usava spesso i treni. Soprattutto da Parigi verso la Normandia dove trovava una luce particolare, adatta alla sua ricerca. Il 1876 è stato l’anno di inizio di un periodo di ristrettezze finanziarie. Si è rivolto al finanziere e collezionista Ernest Hoschedé. Nel 1879 si è trasferito con la moglie Camille e i due figli a Vétheuil, vicino ai coniugi Ernest e Alice Hoschedé. Lo stesso anno Camille muore. Convive in seguito con Alice Hoschedé, separata dal marito, assieme ai suoi 6 figli. Ora la famiglia è grande e Monet inizia a cercare un’abitazione adatta. In treno tra Bonnières e Vernon nota la luce ideale. Scende a Vernon e va verso Gisors per fermarsi a Giverny. Qui scorge un grande casale e si innamora del suo frutteto, delle iris gialle e delle colline attorno. Prende tempo e infine riesce a convincere il proprietario ad affittarglielo e vi si stabilisce nel 1883. Nel 1890 acquista la proprietà.
Continua a viaggiare: Londra, Venezia, la Norvegia… fino alla morte di Alice nel 1911. Da allora si allontana di rado dalla casa e dal giardino; sino al 1926, anno della sua dipartita.
I continui cambiamenti di luce derivanti dalla variabilità del tempo sono uno degli aspetti che hanno sempre affascinato Monet perché diceva di «voler dipingere l’aria che circonda il ponte, la casa, le barche» anche se sembra quasi impossibile renderne la bellezza. L’aria per lui è la luce e questa, si sa, è uno dei suoi crucci maggiori. «Qualunque sia il soggetto che ritrae – scrive Philippe Piguet nel catalogo dell’esposizione di Palazzo Reale nel 2021 – l’artista lo trasfigura nella luce: lo esalta, mescolando materia e spirito, lo rivela nella sua luminosità e nel suo movimento».
Negli anni seguenti l’acquisto, Monet espande i suoi terreni e nel 1893 inizia ad allestire il giardino d’acqua.
Nascono proprio a Giverny le Serie che lo renderanno celebre. Venticinque Meules dipinte tra il 1888 e il 1891, ventiquattro Peupliers tra il 1892 e il 1898, le Cathédrales, il Ponts Japonais, i Glycines e le Nymphéas per arrivare all’apoteosi con le Décorations des Nymphéas che rappresentano il trionfo del colore e che, dalla morte dell’artista, sono esposte al Musée de l’Orangerie di Parigi. In questi casi le tele non sono solo abbagli di luce, né quello che realmente appare, bensì rappresentano lo scorrere del tempo. Monet giustamente viene paragonato a Marcel Proust per il quale il tempo è l’oblio e la memoria involontaria. Giuliana Giulietti in Proust e Monet scrive che l’opera d’arte di Monet diventa il luogo in cui fissare «una realtà che sta per lasciarci per sempre» per ritrovare, nel felice presente della creazione, il tempo perduto.
La complessa struttura generale della proprietà è suddivisa in due parti: Le Clos Normand e Le Jardin d’eau. Nella prima troviamo la casa vera e propria, l’atelier delle Ninfee, il secondo atelier e le serre. Nella seconda – alla quale si arriva mediante un passaggio sotterraneo che attraversa la strada e la ferrovia – lo stagno e il bacino delle ninfee con il ponte giapponese.
L’esterno della casa è ricoperto di edera e le imposte sono verdi. A destra dell’entrata troviamo la sala da pranzo (che in origine era una piccola camera e un cucinotto) con i muri e i mobili di due gialli leggermente differenti. I piatti ordinati a Limoges si armonizzano con il resto. Alle pareti delle stampe giapponesi che aveva iniziato a collezionare dal 1971, come da gusto dell’epoca. Fra i suoi acquisti troviamo Kitagawa Utamaro, Utagawa Hiroshige, Katsushika Hokusai… Qui pranzano gli amici che vengono a trovarlo da Parigi: Camille Pissarro, Auguste Rodin, Auguste Renoir, Sacha Guitry, il mercante Paul Durand-Ruel, Gustave Caillebotte e tanti altri.
Accanto c’è la cucina con le piastrelle blu e bianche e le batterie di pentole in rame: il regno di Alice e di Blanche Hoschedé, moglie del primogenito Jean morto nel 1914. Monet probabilmente entra raramente in cucina anche se è un buongustaio: è ghiotto di selvaggina. Forse per questo qualcuno ha pensato che non dipingesse a olio bensì al burro. A sinistra dell’entrata, di fronte alla sala da pranzo, c’è la sala di lettura dalla quale si accede alla sua camera da letto e al suo atelier al primo piano. Dalla scala centrale si arriva alle camere dei ragazzi e a quella del personale. Nella sua stanza e in quelle adiacenti c’erano i dipinti dei suoi amici: Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Berthe Morisot, Hilaire-Germain-Edgar Degas, Eugène Delacroix, Camille Pissarro, Paul Signac, Édouard Vuillard, due bronzi di Auguste Rodin… quasi tutti dispersi nei musei del mondo.
Da notare che Claude e Alice dormono in camere separate con letti singoli.
Per la manutenzione del giardino Monet dispone di cinque giardinieri. All’esterno della casa ci sono iris, papaveri, alberi di mele, margherite, gladioli, rose. Il giardino cambia colore secondo le stagioni: in primavera ci sono i narcisi, i tulipani, le azalee, i rododendri, i lillà, i glicini. In giugno le campanule, le rose, le genziane e in settembre le dalie, i cactus, le anemoni, le malvarose…
Il giardino d’acqua, al contrario di quello di Clos Normand, è asimmetrico, esotico, giapponese e, come da tradizione orientale, mira ad agevolare la contemplazione filosofica. Qui troviamo le ninfee che con le forme, i colori e i movimenti dell’aria offrono all’artista infiniti giochi di luce e ombra. Georges Clemenceau scrive di rappresentazione emotiva del mondo e dei suoi elementi in una trasposizione della realtà cosmica. Fino alla fine quando, oramai quasi cieco e divorato del tumore, lascia questo Paradiso e noi ne possiamo godere immaginandolo alle prime luci dell’alba dipingere fumando le prime delle sue 40 sigarette giornaliere.
Dove e quando
La maison et les jardins de Monet, Giverny
Dal 1. aprile al 1. novembre
Orari: 9.30-18
Bibliografia
Georges Clemenceau, Claude Monet. Les Nympheas, Paris, Plon, 1928.
Hommage à Claude Monet 1840-1926, Paris, Grand Palais, Éditions de la Réunion des musées nationaux, 1980.