Bibliografia
Roger Gloor, Giorgio Guglielmetti. Arte e umorismo su quattro ruote, Pregassona, Fontana Edizioni, 2019


Il mondo dell’auto vissuto da un artista

In un libro le vignette umoristiche dedicate all’automobile del ticinese Giorgio Guglielmetti
/ 18.05.2020
di Luciana Caglio

È l’esperienza di Giorgio Guglielmetti, disegnatore, acquarellista e caricaturista ticinese, scomparso il 9 ottobre 2016, riproposta, adesso, nel libro Arte e umorismo su quattro ruote (Fontana editore). L’autore, Roger Gloor, già responsabile del supplemento dell’«Automobil Revue», dedicato al Salone di Ginevra, ne è il diretto testimone, seguendo, per decenni, il lavoro di Guglielmetti illustratore di quelle pagine: a modo tutto suo. Sono, infatti, immagini che, se descrivono con scrupolo realistico le novità di un’industria in continua evoluzione, d’altro canto confermano il distacco dell’artista che vede oltre.

Certo, alle prese con un prodotto tecnologico, il nostro disegnatore sa di muoversi in un ambito che esige precisione e competenza. Non basta la matita facile, serve una professionalità acquisita, con gli studi all’«Ecole des arts industriels» a Losanna e a Ginevra, poi aggiornata, visitando officine e atelier e, non da ultimo, frequentando, dal vivo, gli ambienti dell’automobilismo, allora idealizzato. In particolare, i Gran Premi di Formula Uno: Berna fino al 1955, (gara poi abolita in Svizzera) Monza, Le Mans, Goodwood, e via enumerando appuntamenti con campioni entrati nell’immaginario collettivo. Ecco gli incontri con divi, a bordo di bolidi con cui si identificavano, fisicamente e mentalmente. È una sfilata di nomi illustri: Bonetto, Fangio, Ascari, Jim Clark, Graham Hill e, ovviamente, il nostro Clay Regazzoni su Ferrari, vincitore del GP di Monza nel 1970.

Avvenimenti e protagonisti, registrati scrupolosamente dall’«Occhio del reporter»: così s’intitola la prima parte del volume. Mentre nella seconda «Umorismo, satira, ironia», dallo schizzo realistico si passa alla libera rielaborazione dell’oggetto: la macchina non solo come è ma come appare all’artista. E Giorgio, pur da appassionato cultore dell’auto e collezionista di «oldtimer», coglie gli aspetti ridicoli e presagisce le derive maniacali di un fenomeno sempre più fuori controllo. Classe 1923, appartiene alla generazione che ha assistito all’avvento dell’automobile per tutti, conquista sociale e simbolo d’indipendenza individuale. Curioso delle cose, amante dei viaggi, sensibile al linguaggio delle forme e dei colori, trovò proprio in questo mezzo meccanico un congegno tutto da esplorare. Gli dedicò, sin dagli anni 50, un’attenzione coerente: voleva sapere con cosa aveva a che fare. Non subirne il fascino, incondizionatamente. Ciò che, intanto, stava accadendo. Guglielmetti ne aveva avvertito i sintomi. Il potere della macchina rischiava di superare quello dell’utente. Con effetti grotteschi.

Una vera manna per l’umorista. Da cui ricavare immagini spassose: il cittadino alle prese con un guaio meccanico, una gomma a terra, o al volante di una vettura inadeguata, troppo veloce, troppo piccola per ospitare l’intera famiglia, troppo costosa, da esibire come emblema di successo economico. Si chiude, insomma, l’era dell’automobilismo persino romantico, quando la macchina era a misura d’uomo e di manualità. Si ricorreva all’intervento del meccanico che riparava, in garage, un guaio rimediabile. Oggi si sostituisce il pezzo, e via. E, ormai ci siamo, con l’avvento della tecnologia digitale, diventerà superflua la presenza stessa del guidatore.

Guglielmetti si arrende all’evidenza. Quell’invenzione prodigiosa, bella fuori e intrigante dentro, ha cambiato connotati. Non apre più orizzonti lontani e avventurosi. Si presta, invece, a un uso sconsiderato e penalizzante. E, se da patito dell’auto, denuncia la demonizzazione di un mezzo comunque irrinunciabile, da amante della natura constata e illustra le conseguenze ambientali e sociali di un visibile eccesso. D’altra parte, bando alla nostalgia, le cose non cambiano sempre e soltanto in peggio.

Nel 1968, il Catalogo dell’Automobil Revue, pubblica un articolo dal titolo rivelatore: Gli uomini non dovrebbero più guidare, con cui si spazza via il pregiudizio nei confronti delle donne al volante. Giorgio ne ricava una vignetta che, in termini scherzosi, conferma una svolta decisiva del nostro costume. Infine cede, anche lui, al sano fascino della bicicletta: si ritrae in sella, diretto a Berna, per incontrare i colleghi dell’Automobil Revue, nel 2003. Una volta ancora, dimostra la forza dell’umorismo, strumento impareggiabile per sdrammatizzare, senza banalizzare, le contraddizioni della quotidianità. È il marchio personalissimo di un talento che merita, grazie a questo volume, un’allargata attenzione, colmando una lacuna, proprio in Ticino.

Nato e cresciuto a Sorengo, in una signorile casa d’epoca, Guglielmetti rimase sempre, malgrado i soggiorni a Ginevra, in Brasile, a Londra, a Parigi, un ticinese doc, con un tocco stile «gentleman farmer», giacca in tweed e berretto scozzese. Prediligeva il dialetto e la discrezione al riparo dalle luci della ribalta, compresa quella del mondo culturale. Non un isolato, però. Si era fatto una schiera di amici, cui era fedelissimo. Ho avuto la fortuna di farne parte, grazie a una coincidenza: Florinda Balli, la sua compagna, è stata, negli anni 70/80, redattrice di «Azione». E in questa redazione (allora tutta al femminile), Giorgio era un po’ di casa. Ed è a lei, e a un gruppo di amici ed estimatori, Giorgio Passera, Daniele Timbal, Adriano Cimarosti, che si deve l’idea di questo volume (bilingue italiano/tedesco) che salda un debito di conoscenza, e riconoscenza, nei confronti di un artista, rimasto in ombra. Un po’, per sua scelta, un po’ per distrazione della critica.