Ricordate l’Alice di Carroll che nel film della Disney cantava tra i gigli e le rose? Bene, dimenticatela. Il 2021 è l’anno di un altro tipo di Alice, che assomiglia al Cappellaio Matto nel Paese dell’orrore.
Scioccante e incredibilmente scenografico, Alice Cooper, abbattutosi sul panorama musicale come un cataclisma alla fine degli anni Sessanta, è stato scelto da Virgin Radio quale Rock Ambassador di quest’anno perché simboleggia la sincera e carnale vocazione all’hard rock.
Il 26 febbraio è uscito Detroit Stories, ultimo disco (per ora) del «pioniere dello shock rock» che per primo ha portato la teatralità, una punta di metal e un nuovo filone narrativo nell’hard rock. Il racconto dell’orrore accomuna gran parte dei suoi brani e non ha mancato di far discutere per i temi splatter di tortura, sangue e morte, per le comparse grottesche e per gli elementi scenografici dei suoi spettacoli. Ghigliottine, bambole con la testa mozzata, sexy infermiere e spose-cadevere, pitoni, galline e addirittura una foca, hanno trasformato i suoi concerti in un tetro Luna park, in cui Alice Cooper è una sorta di mago da incubo.
Macabro? Sì e no, in fondo racconti e film dell’orrore ci deliziano da sempre, perché non traslarli in musica? Prima di Marilyn Manson, dei Kiss e dei tanti personaggi di David Bowie, Vincent Damon Furnier, nato a Detroit in Michigan nel 1948, con la sua band, si è truccato come un cadavere, ha adottato un look tutto suo e ha inventato un personaggio cattivo. Ispirato al freak di Frank Zappa e ai film Che fine ha fatto Baby Jane e Barbarella, con la sua arte ha suscitato stupore e sgomento.
Alice Cooper rappresenta un esercizio di fantasia notevole perché, al netto degli eccessi alcolici superati nel 1983, Vincent-Alice è un settantreenne come tanti che si dedica alla famiglia, agli amici e al golf (pare sia un ottimo golfista), ma che non ha nessuna intenzione di smettere di suonare il rock ’n’ roll.
Questo è l’anno in cui si celebrano i suoi dischi, non solo per la pubblicazione di Detroit Stories, 27esimo album che senza pretesa di esserlo e con una sana dose di autoironia, è una bomba sotto il profilo artistico-strumentale e un omaggio alla città culla del vero hard rock nudo e crudo, ma anche per l’anniversario, il 50esimo, di altri due album che hanno consacrato la band alla storia del rock.
Love It To Death, uscito l’8 marzo del 1971, dopo due fallimenti di cui non tenere memoria, porta velocemente gli Alice Cooper – allora nome della band – al disco d’oro. I’m Eighteen è il singolo in cima alle classifiche, ma le performance sono troppo scioccanti: in Inghilterra rischiano di essere banditi per la decapitazione delle bambole sul palco, in USA sono contestati da alcuni gruppi puritani.
Gli Alice Cooper scandalosi e «fuorilegge», il 27 novembre di quello stesso anno, rispondono con la pubblicazione di Killer, un assoluto capolavoro da 10 che apre la strada ad altri due graffianti dischi, School’s Out (1972) e Billion Dollar Babies (1973). Killer, nonostante abbia mezzo secolo, è ancora come carta vetrata: alcuni brani sono abrasivi e lasciano intuire quale direzione prenderà la sonorità della band, altri più soft ne salvano lo stile primordiale ancora influenzato dal pop-psichedelico.
Ma la storia devia il suo percorso, il disco successivo è un buco nell’acqua e Vincent abbandona il gruppo per la carriera solista attribuendo legalmente al suo alter ego il nome Alice Cooper. Tra il ’75 e il ’76 cavalca il successo con Welcome To My Nightmare e Alice Cooper Goes To Hell!, un titolo quasi profetico, perché cederà all’alcolismo che lo trascinerà dentro e fuori dagli istituti di disintossicazione fino all’inizio degli anni Ottanta.
Intanto, la scena è cambiata e i suoi tentativi di tornare alla ribalta passano in sordina fino a Constrictor (1986) e Trash (1989) che insieme alla partecipazione a film horror e B movies, come attore e come compositore di colonne sonore, gli permettono di diventare un personaggio cult per gli amati dell’horror.
Una carriera tra alti, bassi e altissimi, premiata – band originale inclusa – con il riconoscimento nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2011. Uno spirito inarrestabile, tanto da portarlo a fondare un’altra band, gli Hollywood Vampires e una produzione incredibile che trova il suo fulcro nello shock rock per poi snodarsi verso infinite possibilità.
Alice Cooper, dimostra che l’hard rock non è morto, ma che ha recuperato il suo posto di nicchia. Ci vuole una certa attitudine ribelle per varcare la soglia della casa dello shock.