Il lato brillante dell’OSI

L’orchestra della Svizzera italiana fa rivivere il mito di Dark Side Of The Moon, proponendone a Lugano giovedì 12 luglio l’arrangiamento del chitarrista Nguyên Lê, che abbiamo intervistato
/ 09.07.2018
di Alessandro Zanoli

Uno dei momenti più attesi delle serate luganesi di Estival è la performance «pop» dell’Orchestra della Svizzera italiana. Negli ultimi anni la prestigiosa formazione sinfonica ha proposto in questo contesto situazioni musicali originali e suggestive, offrendo al pubblico un suo viso forse meno austero ma non per questo meno impegnato. Per l’edizione 2018, quella del 40.esimo di Estival, il progetto portato in Piazza Riforma dall’OSI è particolarmente interessante: un nuovo arrangiamento  dell’album The Dark Side of the Moon, dei Pink Floyd, ideato dal chitarrista franco-vietnamita Nguyên Lê. Gli abbiamo chiesto di parlarcene.

Nguyên Lê, può descriverci il progetto che eseguirà con l’Osi?
Il concerto che terrò a Lugano è la versione sinfonica dell’album che ho registrato per la ACT, nel 2014: Celebrating the Dark Side of the Moon. L’album era basato sui miei arrangiamenti del celebre disco dei Pink Floyd. I pezzi erano stati orchestrati da Michael Gibbs per la NDR Big Band di Amburgo. Per il concerto di Lugano ho chiesto al mio amico Jean-Christophe Cholet di ri-orchestrare le mie partiture, con l’idea di sostituire l’OSI alla Big Band.

E cosa è risultato da questo lavoro?
Abbiamo modificato alcuni arrangiamenti, abbiamo esteso alcune parti per poter sfruttare nel migliore dei modi le meravigliose tessiture sonore che un’orchestra sinfonica può creare. Per mantenere l’aspetto musicale legato al jazz elettrico, porterò sul palco la mia band, che ho volutamente ridotto nell’organico per dare spazio all’orchestra e nello stesso tempo per assegnarle un ruolo meno semplicemente decorativo. Generalmente suono con un nonetto, a Lugano invece porterò un sestetto, composto da Himiko Paganotti alla voce, Céline Bonacina al sax, Illya Amar al vibrafono, Romain Labaye al basso, Gergo Borlai alla batteria e me stesso alla chitarra elettrica e al laptop.

Come avete preparato il concerto con l’orchestra?
C’è stato naturalmente un intenso lavoro a distanza. Ci siamo scritti un sacco di email con il direttore artistico Andreas Wyden, con il direttore dell’OSI Markus Poschner, con la direzione dell’Orchestra. Sono state molte anche le conversazioni telefoniche con il mio arrangiatore Cholet, affinché le mie idee potessero entrare nelle partiture. Al momento attuale le parti sono finite, abbiamo discusso gli ultimi dettagli su spartiti, distribuzione dei posti sul palco e altri elementi tecnici. Con la band avremo una prova prima di arrivare a Lugano, dove proveremo poi con l’orchestra completa.

La sua chitarra avrà un ruolo particolare nell’arrangiamento dei brani?
L’idea iniziale della versione con la Big Band era di rendere la chitarra elemento centrale degli arrangiamenti. Questo concetto si è conservato anche nella versione per il concerto di Lugano. Ciò significa che la chitarra suonerà alcune delle principali melodie (che nella versione originale sono cantate). Con la mia chitarra cercherò di riportare i molti tipi di suono e di textures per cui sono conosciuto, di introdurre elementi coloristici della tradizione musicale asiatica, ciò che rende unico questo progetto.

Le parti di chitarra di David Gilmour sono ormai legate a questa musica: lei nel suo lavoro ha pensato di fare riferimento a quelle interpretazioni, con citazioni o allusioni?
Pur correndo il pericolo di deludere il pubblico, non voglio fare nessun riferimento al modo di interpretare i brani di Gilmour. Lo rispetto immensamente, ma ho pensato che non ci sia necessità alcuna di citarlo o copiarlo. In effetti, questo progetto non vuole essere una cover o una imitazione del mito musicale dei Pink Floyd, che non ha bisogno di me per brillare. Come dice il titolo che ho scelto, si tratta di una celebrazione di quel disco. Voglio mostrare e condividere col pubblico l’amore che ho per questa musica e allo stesso tempo darne una mia versione, personale e diversa.

Interagire con un’orchestra richiede qualche particolare intervento sul suo modo di suonare e sul tipo di strumenti utilizzati?
Sicuramente sarà una grande sfida mescolare la dimensione musicale acustica e quella strumentale elettrica, molto accentuata e ritmica, della mia musica. Mi aspetto di creare una situazione dalle dinamiche sonore molto ampie.

Nella sua esperienza personale, è difficile trovare un «interplay» con una macchina musicale così ampia e complessa come un’orchestra?
Penso che se ci sarà un buon interplay, sicuramente sarà così con il direttore d’orchestra Markus Poschner. Collaborare con lui mi dà molta fiducia. Insieme abbiamo già lavorato in molti contesti sinfonici. È stato molto bello. Oltre ad essere un eccezionale direttore d’orchestra, è un vero jazzman, che comprende a fondo il mondo dell’improvvisazione e del «groove».

Possiamo dire che la sofisticatissima musica dei Pink Floyd (e di altri gruppi Pop-Rock) si prepara a diventare la «musica classica» moderna?
Preferisco dire che questi brani musicali mitici, che sono scolpiti nel tempo, sono come monumenti della cultura tradizionale.