Il jazz nella fisarmonica

A colloquio con Luciano Biondini che ha suonato a Lugano quale membro del gruppo A Novel of Anomaly, per l’ultimo concerto di «Tra jazz e nuove musiche» 2017
/ 25.12.2017
di Alessandro Zanoli

È musica fatta d’incontri, il jazz: costruisce la sua specificità nell’interazione tra personalità musicali (e umane) diverse ed eterogenee. Non a caso molti musicisti neri (e non solo loro) la ritengono un veicolo di integrazione sociale e una dimostrazione vivente di quanto l’unione delle differenze possa generare armonia e non caos.

Questo particolare approccio al- l’espressione artistica si pratica da tempo in Svizzera. Nel nostro jazz la storia delle collaborazioni e le escursioni fuori dalla frontiera sono numerose e fruttifere. Uno degli esempi più recenti ce lo offre la formazione A Novel of Anomaly, quartetto composto da due svizzeri di grande bravura come il cantante Andreas Schaerer e il batterista Lucas Niggli, dal chitarrista scandinavo Kalle Kalima e dal fisarmonicista di Spoleto Luciano Biondini. Quest’ultimo è un esponente di spicco della scena musicale italiana. Ha collaborato tra gli altri con Rava, Tavolazzi, Mirabassi, Ottaviano, Girotto, e fa parte di quel nutrito nucleo di fisarmonicisti che stanno esplorando nuove dimensioni espressive per uno strumento affascinante e «strano».

Novel Of Anomaly, dal canto suo, è un gruppo che ha attirato l’attenzione del pubblico e degli specialisti nel panorama jazzistico europeo con la sua proposta originale e spiazzante. Abbiamo voluto parlarne proprio con Biondini, in occasione della sua presenza a Lugano, durante l’ultimo concerto della serie realizzata da Rete Due, con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino.

Luciano Biondini, il nome del vostro gruppo è veramente curioso, in particolare perché sembra voler descrivere in qualche modo come «anomala» la vostra esperienza. Ma è davvero così anomala, almeno per lei?
Si può considerare anomalo il modo in cui il quartetto è nato: io collaboro con Lucas da molti anni, abbiamo condiviso un bellissimo progetto in trio con Michel Godard, facendo molti concerti e realizzando due cd per la Intakt.

Lucas e Andreas hanno un duo da qualche anno e durante uno dei loro concerti ebbero il piacere di condividere il palco con Kalle. Nacque così un’idea, che era quella di organizzare una serie di concerti di due diversi trio, divisi un due parti: nella prima dove io mi univo al loro duo e nella seconda dove era Kalle ad unirsi a loro. Le prove erano state previste in differenti orari per i due progetti ma purtroppo il ritardo dell’aereo di Kalle ci ha costretto a fare una prova tutti insieme. Dopo i primi minuti di prove tutti realizzammo che la miglior cosa da fare fosse quella di fare tutti i concerti in quartetto!

Come vede, da musicista italiano, la scena musicale (jazzistica) elvetica? È riuscito a farsene un’idea in questi anni di frequentazione di Lucas e Andreas?
Nel vostro paese ci sono grandissimi musicisti e a mio avviso hanno anche la fortuna di essere supportati dal sistema: venendo dall’Italia, dove manca ogni tipo di tutela del musicista, questa è la cosa che colpisce di più.

Ci sono magari altri musicisti svizzeri con cui le piacerebbe collaborare?
Ho già avuto il piacere di collaborare con il violinista Tobias Preisig e il trombonista René Mosele, ma è con grande orgoglio che ricorderò sempre la mia collaborazione con il grande George Gruntz. Sfortunatamente ci ha lasciato qualche anno fa ma era un musicista, compositore e arrangiatore di livello assoluto, oltre che una persona stupenda. La mia esperienza musicale e umana vissuta insieme a lui la porto sempre con me, mi manca molto.

Come nascono i brani del vostro repertorio? Se si osservano le vostre performance live, la personalità di Andreas sembra molto preponderante. Considerando le tracce del vostro album, invece il repertorio è molto più condiviso, e ci sono diverse sue composizioni. Come è andata al momento della scelta?
Le scelte dei brani avvengono in modo molto spontaneo: si fanno delle proposte e si sceglie il materiale più adatto, più consono a ogni strumento e alla voce di Andreas. Non penso che lui sia preponderante: ovviamente il suo modo di cantare è talmente unico che nei concerti può dare questa sensazione ma ci tengo a dire che la forza di questo gruppo sta principalmente nella gioia di suonare insieme ed essere di supporto all’altro, avendo l’unico obiettivo di fare una bella cosa insieme, liberi da manie solistiche ed egocentriche.

Il ruolo della fisarmonica in un contesto così «avanzato»: è uno strumento che associamo più ad atmosfere malinconiche e folk, non alla musica d’avanguardia. Lei come si è trovato in un ensemble di questo tipo? In altre parole, la fisarmonica è uno strumento tradizionalista?
La fisarmonica nasce da atmosfere folk e malinconiche, è vero, ma nasconde in sé molteplici facce e modi di essere utilizzata che la possono proiettare molto oltre l’immaginabile... Ho sempre cercato di scavare fuori da questi confini, ciò mi ha permesso di sperimentare il mio strumento nei contesti più svariati e avere la capacità di entrare in sintonia con mondi apparentemente lontani.

Allargando il discorso: come vede il coinvolgimento dello strumento stesso nel panorama della musica attuale?
Se penso al jazz credo che stia vivendo un buon momento: rispetto agli anni passati ci sono molti più fisarmonicisti interessanti e con differenti personalità che stanno senz’altro dando un importante contributo. La fisarmonica è ancora un giovane strumento c’è bisogno di tempo.