Il galoppo a briglia sciolta dei social

La lingua batte - Per i mass media, competere con Facebook, Instagram e Youtube è una battaglia persa. Meglio farseli amici. E noi utenti?
/ 06.07.2020
di Laila Meroni Petrantoni

Il 30 giugno ricorre il Social Media Day. Evviva: un’altra data dedicata, per riflettere una volta all’anno sul mondo che cambia, che sarà, o che non c’è più. Perdonate se sconfino nel ritrito, ma lo faccio per dovere verso coloro che non sanno di cosa stiamo parlando (se siete tra questi, siete in via di estinzione). Rientrano nella categoria dei social media i gettonatissimi Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, gli antichi MySpace e Friendster, l’adolescente TikTok. Son tutti veicoli che consentono, grazie all’universo di internet, non solo di «leggere» contenuti ma anche di «produrne» e di «condividerne».

Ecco perché (giusto per fare un esempio della varietà di utenti e temi che ruotano attorno a questo mondo) su Youtube è possibile trovare l’ultimo discorso di Barack Obama in qualità di Presidente USA come pure il video esplicativo (li chiamano «tutorial») per installare un condizionatore. Per certi versi i social media, come pure i motori di ricerca come Google, ci hanno semplificato la vita, mettendoci a disposizione una montagna di informazioni senza dover scartabellare fra enciclopedie, dizionari e manuali d’uso.

Ad oggi usufruiscono di social media almeno tre miliardi (!) di persone, con tutto ciò che questo comporta: tutela della privacy e dei dati, libertà di espressione, vere e finte informazioni, nonché estinta capacità di riflessione e di tenere a bada la lingua. Non ci impantaniamo qui nelle questioni legali connesse al settore; piuttosto può essere sfizioso partire da qui per compiere un rapido viaggio senza pretese nella comunicazione e nella diffusione delle informazioni.

Come noto, usufruiscono dei social media anche i grandi canali news, che hanno trovato nei nuovi mezzi sempre a portata di mano il veicolo per lanciare notizie quasi in tempo reale. Questi canali – un po’ più vecchi – sono tuttora etichettati come mass media: sono in origine stampa, radio e tv, creati per divulgare dei messaggi a un pubblico che resterà anonimo. La comunicazione tipica dei mass media segue la formula uno-a-molti, verso utenti passivi senza possibilità di ribattere; al contrario con i social media il ruolo di chi è coinvolto è potenzialmente sempre attivo. Dalla «massa» che comunque è circoscritta in un numero non infinito, si passa alla «società» (di individui interconnessi) con cifre di gradimento che sul web non sono mai definitive. Secondo gli esperti, gli uni non sostituiranno comunque mai gli altri. Ma c’è qualcosa che caratterizza i secondi in modo inquietante: la velocità, sia di diffusione sia di evoluzione del mezzo social, sempre pronto a trasformarsi secondo i gusti degli utenti (o a pilotarli?).

Non c’è che dire: andando a ritroso (scomodando metafore ippiche), i primi anni del terzo millennio vedono i social al galoppo, nel secolo scorso radio e tv trottavano con brio, la diffusione dei giornali a partire dal Seicento si è evoluta al passo, e per trovare in epoche precedenti la prima impennata bisogna risalire al Quattrocento con l’invenzione della stampa a caratteri mobili; prima di tutto questo, la comunicazione fra esseri umani non aveva certo il vigore dello stallone, piuttosto l’andatura di un pigro ronzino sonnecchiante.

Nella nostra èra invece è tutto velocissimo. Tutti hanno qualcosa da dire, e vogliono farlo subito. Suvvia, siamo onesti: non vi gira un po’ la testa?

Fra i neologismi del 2020, Treccani segnala per la lingua italiana «infodemìa»: certo ci avrà messo lo zampino il virus, ma la parola dà un’idea chiara di quanto ormai le informazioni circolino in modo eccessivo e incontrollato, rendendo difficilissimo districarsi fra argomenti validi e spazzatura. Tanta roba, troppa roba. Viene in mente il titolo di un vecchio film con Lando Buzzanca: Fermate il mondo… voglio scendere.