Bibliografia
Eleonora Marangoni, Viceversa – Il mondo visto di spalle, Monza, Johan&Levi, 2020


Il fascino discreto del rovescio

Il ritratto, oltre a offrire prospettive inedite, può avere funzione filosofica, sensuale e concettuale
/ 26.10.2020
di Emanuela Burgazzoli

L’idea del libro di Eleonora Marangoni, intitolato Viceversa – il mondo visto di spalle, uscito per le edizioni Johan e Levi nella bella collana «Parole e immagini» – ha origine dal suo desiderio di fare ordine; di capire perché nel corso degli anni, prima durante i suoi studi di letteratura comparata a Parigi e poi in Italia, nella sua vita di copywriter, abbia collezionato immagini che ritraggono quasi sempre figure girate di spalle. Il percorso di Marangoni intreccia la storia della pittura e della fotografia con la letteratura, all’occorrenza riuscendo a ricostruire una convincente classificazione delle Rückenfiguren che parte dall’antichità, con l’hapax della così detta Flora di Stabia, la figura di un affresco del I secolo d.C. scoperta nella villa Arianna nell’odierna Castellammare a fine Settecento. Se è vero che non sono tutte uguali, queste figure voltate emanano tutte un potere che risiede nel mistero di un volto celato, «sono povere di armi e insieme potentissime».

La dea della primavera è l’anello che unisce il mondo dell’antico Egitto e la tradizione pittorica europea, quella del Giotto che ritrae di schiena alcuni apostoli nell’Ultima cena nella Cappella degli Scrovegni. Si comincia così a fare a meno della frontalità – anche se il Quattrocento predilige il canone albertiano del decorum, fatto di proporzioni e armonia. La figura di spalle non è sempre solitaria, diventa anche una moltitudine di corpi: ne è un sorprendente esempio Il Mondo novo di Tiepolo, affresco dipinto nel 1791 a pochi anni dalla fine della Serenissima, in cui il pittore sceglie un’inquadratura moderna e inedita che rende partecipe l’osservatore di questa visione tesa verso «un futuro imprendibile».

Poi c’è una categoria di figure in contemplazione della Natura; il Sublime con cui dialogano le emblematiche figure dei viandanti di Friedrich, eroi romantici; una linea sottile che riemerge nel Novecento, per esempio in un disegno giovanile di Hopper che ritrae un bambino di spalle al mare, premonitore di quella solitudine esistenziale che avvolge molti dei suoi personaggi successivi di interni newyorchesi. Una solitudine che viene da lontano, dal Seicento olandese, dove il quotidiano è diventato arte e noi siamo invitati a rubare momenti privati, come nell’emblematico Lo studio dell’artista di Vermeer.

E poi c’è il fascino della sensualità, con l’avvento della nuca femminile, che nell’Ottocento è «metafora soffusa e ammiccante del desiderio» (si pensi alle pensose schiene di donna in molte tele impressioniste); e l’invenzione artistica e letteraria trova riscontro scientifico nei trattati di frenologia dell’epoca. I poteri della nuca si estendono nel Novecento, sino a divenire – come provano gli scritti di Proust, Svevo o Colette – elemento dirompente, capace di «svelare segreti e ribaltare equilibri». Ma Marangoni non dimentica il nudo di schiena maschile dalla lunga tradizione che inizia nel Cinquecento e prosegue fino ai potenti nudi di Lucian Freud, «maestro dei corpi».

E cosa succede quando il quadro stesso diventa il suo rovescio? Un’operazione concettuale che non è soltanto esclusiva di artisti a noi vicini come Giulio Paolini e Roy Lichtenstein, ma che ha un unico precedente illustre nella pittura fiamminga del Seicento, con Cornelis Gijsbrechts che dipinge un sorprendente Trompe l’oeil. Rovescio di un quadro. Opera che lanciava «una doppia sfida, all’osservatore e alla pittura stessa». Una sfida che evolve nel Novecento, quando ci si chiede se esiste un’arte di guardare l’arte. Risponde la fotografia contemporanea: negli anni Ottanta il tedesco Thomas Struth indaga il rapporto che intercorre fra il pubblico dei musei e i capolavori della pittura. Nella sua serie Museum Photographs il tempo dell’opera e quello dello spettatore vengono messi sullo stesso piano, sottraendo i capolavori del passato al «loro status di icone immortali».

Infine c’è la postura di spalle come destino che prende spunto da «una delle prime poser della storia», ovvero la Contessa di Castiglione, amante di Napoleone III. Una donna che aveva intuito molto prima dell’era dei selfie il potere del culto della propria immagine e l’efficacia di farsi ritrarre di schiena, «per sottolineare la propria unicità». Ci sono poi i ritratti di schiena con intenti politici, come nel caso dei Veteranos, foto di soldati nei paesi in guerra di Santiago Sierra.

E poi quelle che hanno una funzione quasi filosofica, come le mitiche capigliature e schiene di Domenico Gnoli: dopo una brillante carriera di illustratore e scenografo, a 33 anni Gnoli si era ritirato sull’isola di Maiorca a dipingere, scoprendo la piena libertà «dalla cultura del secolo». Viste di spalle le sue figure sono libere da preconcetti, «riscrivono l’ordine delle cose» perché sospendono gli automatismi del vedere. Ecco perché la sua è una pittura del nascondimento e dell’essenza; di fronte a essa abbiamo la possibilità di indugiare, di tergiversare; le figure di schiena «servono anche, e forse innanzitutto, a concederci una tregua». Che di questi tempi non è poco.