Si sa, una delle cose più difficili, quando si progetta la colonna sonora di un’opera cinematografica, è riuscire a mettere insieme una gamma di brani che non servano semplicemente a fungere da «commento sonoro» per la narrazione filmica, ma riescano anche a offrire una varietà stilistica e tematica tale da non annoiare l’ascoltatore, permettendo così all’album e alla soundtrack in generale di esistere anche come opera a sé stante, indipendentemente dal progetto originale di cui fanno parte.
Tale scommessa sembra, per una volta tanto, vinta da un album singolare e audace come l’OST («original soundtrack») della pellicola di produzione italiana Chiamami con il tuo nome («Call Me By Your Name»), firmata dal regista siciliano Luca Guadagnino e candidata a ben quattro premi Oscar; anche se la sensazione di molti è che l’entusiasmo suscitato da quest’opera – non solo nella commissione degli Academy Awards, ma anche nel pubblico internazionale – sia stato dovuto in gran parte alle tematiche insite nella trama, mutuata direttamente dall’omonimo romanzo di André Aciman: il racconto dettagliato della passione tra un uomo adulto e un timido adolescente sembra infatti tuttora conservare in sé la possibilità di suscitare scandalo – come dimostra la reazione di un noto gruppo internazionale di attivisti che, devoto all’immagine tradizionale e di stampo cristiano della famiglia, ha definito il film «un incitamento alla pedofilia».
Ad ogni modo, nonostante gli innegabili (e piuttosto avvilenti) cliché narrativi che, ahimè, popolano la pellicola, la colonna sonora prescelta da Guadagnino risulta particolarmente intrigante, poiché, secondo un gusto di stampo oramai piuttosto «fuori moda», mostra l’ardire di coniugare brani dal consueto sapore pop-rock a pezzi musicalmente più ricercati, definibili come a cavallo tra la musica classica e la sperimentazione di sapore jazz, ambient e synth. In più, trattandosi di un film italiano, il CD offre anche qualche nome nostrano, su tutti quello dell’inossidabile Loredana Bertè, il cui timbro vocale caratteristico e ruggente grazia J’adore Venise; anche se meno efficace risulta l’inserimento nella tracklist di follie «vintage» targate anni 80 come il brano di Marco Armani È la vita (proveniente dall’edizione 1983 di Sanremo), che sembra ricalcare i peggiori exploit dei più celebri Pooh, o l’ultra-commerciale Paris Latino, surreale pezzo dance degli ormai dimenticati Bandolero. Sulla stessa falsariga di sapore retrò, non sfigurano invece l’iconico Giorgio Moroder con la pur improbabile Lady Lady Lady, interpretata da Joe Esposito, e il glam rock postmoderno degli Psychedelic Furs (Love My Way).
Ma la vera intuizione della colonna sonora sta nei suggestivi brani strumentali: accanto a capisaldi quali il Capriccio BWV 992 e la cantata Zion hört die Wächter singen di Bach – o anche la versione di André Laplante di Une barque sur l’océan a firma Ravel e la Sonatine bureaucratique di Satie, qui eseguita dal pianista Frank Glazer – troviamo infatti interessanti esempi di musica classica contemporanea: si vedano il vagamente ossessivo primo movimento di Hallelujah Junction, del compositore statunitense John Adams (presente nel film anche con il lungo Phrygian Gates), e, naturalmente, l’immancabile Ryuichi Sakamoto (da anni alfiere della musica «di spessore» a cavallo tra elettronica, ambient e fusion), di cui vengono proposti gli ipnotici M.A.Y. in the Backyard e Germination.
In tutto ciò, rimane però particolarmente toccante il contributo di un autore di musica «leggera», ovvero l’americano Sufjan Stevens, presente con ben tre brani, graziati dal suo inconfondibile sguardo intimista – sguardo evidente soprattutto in Mystery of Love, vibrante ballata composta appositamente per questo film come sorta di «affresco in musica» della tempesta emotiva rappresentata da qualsiasi impeto passionale. Stevens riesce a rendere con maestria il senso di liberazione, e allo stesso tempo dipendenza, tipico delle storie d’amore più intense e disperate, pur senza mai scadere nel facile sensazionalismo: la delicatezza di Visions of Gideon si accompagna così alla struggente malinconia della versione remixata di Futile Devices, pezzo già presente nell’album The Age of Adz (2010).
È quindi chiaro come, indipendentemente dal dibattito sul valore artistico dell’opera cinematografica a cui si riferisce, la colonna sonora di Chiamami con il tuo nome presenti una dote innegabile quanto rara: nella sua capacità di commistione tra la musica definibile come «alta» e il pop più orecchiabile ed easy listening, dimostra una libertà artistica che, dopo i fasti degli anni 70, era sembrata dileguarsi dalla scena musicale internazionale, anche e soprattutto per quanto riguarda le colonne sonore e la musica erroneamente considerata come semplice «accompagnamento» narrativo. Una scelta che altri registi farebbero bene a perseguire e imitare, per il bene non soltanto del cinema, ma anche del mercato discografico in generale.