Genuina simpatia e gran classe sono state le caratteristiche di una serata che il palcoscenico del LAC ha riservato a Ornella Vanoni, diva e gran Signora della canzone italiana. Un vero e proprio evento per una platea di nostalgici che ha mostrato qualità dal profilo musicale ma curiosa avarizia per quanto quella parte narrativa o aneddotica di uno spettacolo il cui titolo La mia storia prometteva, oltre a un repertorio da favola, il racconto di un’avventura artistica e umana che, come sappiamo, è stata ricca di incontri straordinari.
Abbiamo dovuto accontentarci – ma si fa per dire – della generosità musicale di un’ora di concerto che ha percorso epoche e alcuni autori che hanno segnato la carriera di una cantante e attrice certamente fra le più longeve (e in perfetta forma) del panorama italiano. Accompagnata da Roberto Cipelli al pianoforte, Bebo Ferra alla chitarra, Loris Leo Lari al contrabbasso, Piero Salvatori al violoncello e Tommaso Bradascio alla batteria, l’ingresso in scena della Vanoni è sulle note finali di Musica Musica, lasciando subito intendere il taglio delle riletture musicali del quintetto con arrangiamenti jazzistici stilizzati per dare risalto alle interpretazioni dell’artista milanese che non ha lesinato preziosismi vocali senza esitazioni o cedimenti, tutti gestiti con assoluta padronanza e divertissement.
Un’ottuagenaria da sballo, insomma, per una serata d’antan che ha esaltato e commosso la numerosa ed entusiasta platea luganese. Soprattutto con brani che scegliamo di ricordare, cavalli di battaglia e monumenti della canzone italiana nati dalla penna di Gino Paoli come Senza fine e Mi sono innamorata di te, di Luigi Tenco con una toccante Vedrai o la suggestiva Caruso di Lucio Dalla: «piccolo, brutto ma un genio» ha commentato la Vanoni nel presentare un capolavoro che «sembra un plagio ma non lo è». Ma anche Io che amo solo te di Sergio Endrigo o la sanremese Imparare ad amarsi di Bungaro e Pacifico. Per la conclusione l’artista ha scelto Domani è un altro giorno (cover di Tammy Wynette), l’intensa e scaramantica poesia di Aria di Dario Baldan Bembo e Sergio Bardotti alla pari con L’azzurro immenso di Sergio Cammariere: eleganza allo stato puro per una straordinaria, unica e inconfondibile voce.
Il senso della tradizione
Sono almeno trent’anni che le stagioni teatrali a Verscio si avvicendano senza rinunciare di inserire la proposta del Variété fra gli appuntamenti previsti nel cartellone (sostenuto, fra gli altri, dal Percento culturale di Migros Ticino). Nato con l’obiettivo di avvicinare i giovani studenti della scuola (oggi Accademia della SUPSI) alla dimensione professionale sottolineando la cifra stilistica che ha sempre contraddistinto le creazioni del grande clown Dimitri, il Variété continua ancora oggi a essere uno spettacolo che richiama un pubblico di appassionati, grandi e piccini.
Quando è iniziata l’avventura del Variété, il suo allestimento veniva realizzato dopo una selezione di allievi che dovevano superare un provino. Ovviamente poter far parte di quel piccolo e agguerrito contingente teatrale diventava motivo di giustificato orgoglio. Anche oggi è un sentimento condiviso, sebbene da diverse stagioni la compagnia del Variété sia ormai composta di studenti del secondo anno del ciclo di formazione. Pertanto ogni stagione può riservare delle sorprese. Sia dal profilo registico sia da quello interpretativo.
Per esempio l’edizione 2018, di cui abbiamo visto recentemente la rappresentazione, è stata diretta a quattro mani da Andrea Herdeg, docente di danza, in accoppiata con Colette Roy, docente di costruzione e recita maschere, una posizione occupata per molti anni dal compianto Richard Weber, grande maestro del genere e co-fondatore con Dimitri della scuola. Una regia che ha pertanto fornito un’impostazione particolare dello show che con il titolo I dodici imperfetti già la dice lunga sulle personalità che ogni giovane artista ha voluto proporre in scena, fra danza e movimento.
Il pretesto è l’incontro di una dozzina di persone talentuose e dalle personalità ben distinte. C’è chi ha lo sguardo stupito e un cappello sempre in testa, chi è perennemente con la testa per aria, chi ha fatto del silenzio una regola oppure chi sembra alla continua rincorsa di qualcosa. O chi invece apparentemente è perfetto… ma è solo un’illusione.
Dall’incontro di tutte le diverse inclinazioni lo spettacolo prende le mosse e si sviluppa sulla scena per un mondo fantasioso, dove gli attori dimostrano la loro bravura in una sequenza di sketches fra acrobazie e jonglage, danza, canto e musica con o senza maschere espressive, ma con grande perizia esecutiva. Un esercizio carico di gioiosa esuberanza e di risorse che lasciano spazio all’estro del singolo ma che fanno parte di un prezioso bagaglio acquisito nel ricordo di una singolare matrice espressiva: segno di una tradizione e di una delle vie percorribili per entrare nel mondo dello spettacolo.