A partire dal mese di marzo 2018, il museo di design svizzero sarà ubicato in due sedi: il deposito espositivo Schaudepot, presso il complesso architettonico Toni-Areal in Pfingstweidstrasse 96, e l’edificio principale in Ausstellungstrasse 60, che verrà riaperto dopo un lungo periodo di ristrutturazione.
Questo edificio, opera degli architetti Adolf Steger e Karl Egender, è annoverato tra i beni culturali protetti della città di Zurigo. Realizzato in stile Bauhaus agli inizi degli anni Trenta del Novecento, è un vero e proprio monumento architettonico che, a partire dal 2 marzo, si potrà ammirare nel suo aspetto originale: nulla è stato infatti modificato rispetto al progetto iniziale. Solo l’infrastruttura tecnica (impianti di climatizzazione e sicurezza) è stata modernizzata secondo gli standard museali attuali.
Il Museum für Gestaltung, fondato già nel 1875, nacque dal bisogno da parte delle corporazioni degli artigiani (ceramisti, falegnami, ecc.) di avere dei modelli di riferimento, non solo per il loro operato, ma anche per la formazione degli apprendisti. Oltre alle scuole professionali, sorsero così i musei dei mestieri, che cominciarono a collezionare opere con lo scopo di mostrare ai giovani in formazione lo stile da seguire e quello invece da evitare, creando in questo modo una sorta di «biblioteca di consultazione».
La collezione del Museum für Gestaltung, a cui si sono poi aggiunte molte donazioni di privati, conta ora circa 500’000 oggetti, che costituiscono il più grande corpus di design in Svizzera. Essa è suddivisa in quattro categorie: design (oggetti prodotti in serie), grafica industriale (da bozze di caratteri, a volantini, fino a confezioni di medicamenti), cartellonistica e arti applicate (ceramiche, tessili, gioielli, ecc.).
Il museo non colleziona solo opere faro, ma conserva anche prototipi bizzarri o bozze di oggetti mai realizzati, perché emblematici di una mentalità o una corrente di pensiero, ma privi di valore economico. Circa l’80% della collezione di design non avrebbe nessuna chance sul mercato. Il museo si interessa alle idee relative a un oggetto, al processo di creazione, alla visione della società veicolata dalle opere.
Gli archivi delle quattro collezioni sono stati resi accessibili al pubblico nel 2014 presso lo Schaudepot. Alla sede principale, invece, sono esposte circa 2’000 opere delle collezioni, allestite in quattro progetti espositivi: Swiss Design Lounge, Collection Highlights, Ideales Wohnen (L’arredamento ideale, ndt) e Plakatgeschichten (Storie di manifesti, ndt), che il direttore del museo Christian Brändle ci ha presentato nell’intervista sottostante.
In occasione dei festeggiamenti per la riapertura della sua sede principale, il Museum für Gestaltung propone sabato 3 marzo diverse attività gratuite: visite guidate, un workshop sulla costruzione di mobili o ancora un corso di fotografia museale, e altro ancora.
Abbiamo incontrato Christian Brändle, direttore del Museum für Gestaltung, che ci ha illustrato la sua visione innovativa di museo.
Quale esposizione temporanea potremo scoprire il prossimo 3 marzo?
L’esposizione Oïphorie è dedicata alle installazioni dell’atelier di design oï, che si trova nella Svizzera occidentale e gode di fama internazionale. Per noi è indispensabile non solo creare delle sinergie con le altre regioni del Paese, ma anche conferire una dimensione contemporanea ai progetti espositivi, dato che gli allestimenti della collezione vertono su quella storica. Ci ha particolarmente affascinato il metodo di lavoro di questi designer, basato sui processi di produzione e sui materiali.
Quando creano un oggetto, infatti, non partono dal disegno per poi decidere come realizzarlo, ma procedono in modo inverso: prima svolgono delle ricerche approfondite sulla lavorazione del materiale, per esempio investono mesi per capire in quali modi si possa strappare il cuoio, oppure come si possa piegare la carta di riso giapponese. Solo quando tutte le possibilità sono state esplorate, riflettono su cosa potrebbero realizzare con una tecnica specifica. La consegna data agli artisti dell’atelier oï per quest’esposizione era quella di valorizzare con le loro opere l’imponente atrio principale del museo, che è un connubio tra una cattedrale e un capannone industriale. È un progetto stimolante, celebrativo e contemporaneo.
Come avete sviluppato i progetti espositivi delle collezioni?
Ci siamo chiesti cosa avremmo potuto raccontare tramite le opere delle nostre collezioni e abbiamo optato per quattro forme narrative diverse. La prima è Swiss Design Lounge, una veranda luminosa al primo piano dove, a causa della temperatura e della luce, non si possono esporre degli originali. Pertanto abbiamo scelto alcuni mobili di design svizzero ancora in produzione, che le aziende produttrici quali Schönstaub, de Sede, USM, ecc., ci hanno fornito. Mostriamo così uno spaccato non solo della creazione ma anche della produzione di design svizzero. I visitatori possono toccare i mobili, vedere da vicino come sono fatti, verificare se sono comodi. In questo spazio pubblico accessibile gratuitamente si possono organizzare riunioni, fare la siesta, incontrare gli amici. Si tratta di una via di mezzo tra un parco e un museo.
Un altro progetto sono i Collection Highlights. Di cosa si tratta?
Qui abbiamo abbinato oggetti che sotto il profilo contenutistico non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro; per esempio, vicino a una ceramica di Susi Berger è esposta una coppa del 1850, riccamente decorata secondo il gusto dello storicismo, oppure un dondolo a forma di cigno è posto accanto a un innaffiatoio di Kienzle. Non condividono nulla, ma in un certo qual modo si piacciono e interagiscono. Questa forma narrativa associativa di presentare le opere è ludica e facilita la fruizione da parte del pubblico.
Come si contraddistinguono le forme narrative degli altri due progetti?
L’esposizione Plakatgeschichten comprende una selezione di soli 80 manifesti dei 350’000 della collezione, raggruppati in base alle loro strategie rappresentative: abbiamo il cartellone grafico, il collage fotografico o ancora il manifesto illustrativo, come L’Amérique du Sud par le Paquebot «l’Atlantique» del 1931, realizzato da Cassandre per la pubblicità di una compagnia di navigazione. Un’enorme nave ne contiene una minuscola, per farne risaltare le dimensioni, producendo così un effetto di maestosità e imponenza: Cassandre è il miglior grafico di cartelloni, il mio preferito.
Negli spazi di Ideales Wohnen invece mostriamo come le persone avrebbero dovuto arredare le proprie case nelle diverse epoche: negli anni 80 secondo lo stile di Mario Botta, oppure nel secondo dopoguerra con oggetti di Max Bill. In esposizione vi sono opere di grande valore, ad esempio la poltrona personale di Sigfried Giedion, eminente critico e teorico d’arte e d’architettura, disegnata da Marcel Breuer per Embru (1933). Queste diverse modalità di raccontare sono una forma di intrattenimento. Il rischio è quello di stancarsi, mentre noi vogliamo sorprendere.