Un ritratto del giovane cineasta


Il desiderio in tutta la sua splendente diversità

A colloquio con il giovane cineasta svizzero Patrick Muroni, autore di Ardente.x.s
/ 06.06.2022
di Muriel Del Don

Nato in Alta Savoia, in un paesino dove il tempo sembra essersi fermato, da genitori che con il mondo dell’arte avevano poco a che vedere, Patrick Muroni è capitato all’ECAL (École cantonale d’art de Lausanne) quasi per caso, attirato dal caos creativo della grande città. Il cinema è stato per lui uno strumento potente con il quale catturare questa frenesia, per preservare la memoria di persone e luoghi che l’hanno fatto crescere come artista e come persona.

Il suo cortometraggio di diploma Un matin d’été, autoprodotto (è bene sottolinearlo), selezionato al Locarno Film Festival 2019, parla del complicato ritorno a casa dopo aver assaporato la libertà di un rave party ed è emblematico della voglia di Muroni di parlare della sua generazione. Il suo universo cinematografico è popolato da giovani personaggi che tracciano la loro strada al di fuori di un sistema a tratti soffocante che non li comprende. Assetati di libertà, non si conformano a una società che rigetta il «diverso», che vorrebbe controllare tutto e tutti. Preferiscono costruirsi attraverso esperienze comunitarie che si trasformano in modelli alternativi.

Con il suo primo lungometraggio Ardente.x.s, Patrick Muroni continua la sua indagine del mondo giovanile mettendo in scena le avventure della casa di produzione dedicata alla realizzazione di film pornografici «etici e dissidenti» OIL Production, un collettivo formato da donne e persone queer che trasforma la sessualità in atto militante. Lo abbiamo incontrato al festival Visions du Réel di Nyon, dove ha presentato il suo film in prima mondiale.

Come nasce l’idea del film?
Ho avuto la fortuna di conoscere una delle cofondatrici di OIL Production, Nora Smith, all’ECAL di Losanna. In seguito, Nora ha incontrato Mélanie Boss e insieme hanno deciso di fondare una casa di produzione dedicata alla creazione di film pornografici etici e dissidenti. Il loro progetto mi ha incuriosito, era un «universo» nuovo che mi ha spinto a pormi molte domande. Una settimana dopo ho chiesto se potevo filmare, cosciente però di essere una sorta di outsider. Non volevo fare parte del progetto, ma mi intrigava e interessava filmarne l’evoluzione. Si è creato immediatamente un patto di fiducia. Ardente.x.s è un progetto che parte da un legame d’amicizia, da una storia intima.

La problematica trattata nel film non ti ha spaventato? Ti sei chiesto cosa filmare e cosa lasciare invece all’immaginazione?
All’inizio quello che mi interessava era semplicemente filmare le mie amiche/i miei amici. Poi ovviamente il soggetto trattato mi ha spinto a interrogarmi sull’aspetto politico che il film avrebbe avuto. Come quello di imporre la mia visione in quanto outsider che non fa comunque parte del circuito della cultura queer. Ho imparato molto grazie al collettivo che ho filmato per un anno e mezzo. Ho scoperto un sacco di cose che mi hanno aiutato a crescere, questo anche grazie a letture fondamentali di autrici quali Iris Brey e il suo Le regard féminin che tratta il tema del male gaze, Virginie Despentes e il suo capolavoro King Kong Théorie o ancora Alma M. Garcia, Paul B. Preciado e il documentario Mutantes della già citata Despentes sulla storia della pornografia, senza dimenticare Annie Sprinkle che parla della post pornografia.Questa educazione reciproca ci ha permesso di capirci mutualmente. Ho anche voluto vedere come la Svizzera contribuiva a questa rivoluzione globale. Sono orgoglioso di dire che anche il nostro paese fa la sua parte, che c’é una gioventù viva e attiva. La nostra è una nazione nella quale succedono molte cose!

Ho riflettuto solo successivamente su come filmare queste persone, sul concetto di female e male gaze. Sono un uomo cisgenere, bianco ed etero, e la prima cosa da fare in quanto alleato del femminismo non è di certo parlare esclusivamente con e per gli altri uomini, cis, bianchi ed etero, ma estendere piuttosto il discorso ad una comunità più ampia e variegata. Da questo punto di vista la mia è una presa di posizione politica. Evidentemente volevo che questo film parlasse alla comunità queer ma anche e soprattutto a chi non ne fa parte. Artisticamente, i film di OIL Production non sono fatti da ragazze per ragazze, sono per tutti, per un piacere per così dire universale! C’era la voglia di mettere davanti il fatto che siamo una generazione fluida, in costante movimento. Il collettivo stesso è fluido, vogliamo demistificare, decostruire le sessualità e il genere, e ce la faremo!

Come hai fatto per farti accettare dal collettivo?
Come detto, il fatto di conoscere Nora mi ha aiutato molto. Ho cercato di rimettere costantemente in discussione il mio sguardo e abbiamo discusso moltissimo. Incontrare tutti i membri del collettivo è stato sconvolgente. Vengo dalla campagna, dall’Alta Savoia, i miei genitori non fanno parte di questa cultura o del mondo dell’arte e mi sono interessato al cinema un po’ per caso. Aprirmi al collettivo OIL è stato un atto politico. Il film parla molto dello sguardo. Come ci guardiamo, come ci poniamo di fronte ai media e ai social, cosa resterà di noi. Nel caso di OIL Production, i film resteranno anche dopo la fine del progetto: cosa è osceno e cosa non lo è? Mi sono soprattutto posto la domanda di come riuscire a non sessualizzare i corpi. Non è impossibile, ci sono dei mezzi per evitare questo pericoloso tranello.

I tuoi film mettono spesso in scena dei giovani, ti consideri una sorta di porta parola della nuova generazione?
I miei primi due cortometraggi parlano di questo, dei giovani della mia generazione. Questo tema mi interessa perché ho vissuto una gioventù un po’ particolare, in campagna, dove non c’era assolutamente nulla. Arrivando in città e vedendo tutto il fermento che l’animava, mi sono detto che c’era molto da raccontare. Mi piace parlare con la gente e spesso quando esco mi diverto a osservare le persone. Durante l’adolescenza succedono molte cose ed è un momento cruciale di costruzione dell’identità, concetto che però oggi è messo spesso in questione, anche grazie a internet. Nei miei film desidero mostrare come viviamo anche a chi non è della mia generazione. Ho la speranza un po’ ingenua e malinconica che le generazioni future si ricorderanno di noi così. Ho scelto il titolo Ardente.x.s perché voglio mostrare che, soprattutto oggi, abbiamo bisogno di vivere e di decostruirci con «ardore»!

Quali sono le tue influenze estetiche?
Mi sono avvicinato al mondo della cultura e dell’arte abbastanza tardi e ammetto di avere molte lacune, ma diciamo che per me tutto è cominciato con Holy Motors di Leos Carax. Non ho capito niente del film ma è stato un grande shock (positivo)! Poi sono arrivati Alain Guiraudie, Bruno Dumont e Terrence Malick che mi hanno catturato grazie al loro sguardo poetico e metafisico. Sono stato ispirato anche da Yann Gonzalez, Virgil Vernier e Andrea Arnold. Esteticamente mi affascinano i lavori di Harmony Korine o Gaspar Noé. Detto ciò, non sono dogmatico, mi piace lasciarmi stupire. Influenze a parte, devo ammettere che cinematograficamente devo tutto al mio direttore della fotografia Augustin Losserand. È lui che mi ha insegnato a filmare ed è il direttore della fotografia di tutti i miei film.

Ti senti di fare parte di una nuova generazione di giovani registi svizzeri?
In Svizzera mi piacerebbe ci fosse più coesione tra registe e registi. Sono comunque felice di giovani registi come Elie Grappe e Andreas Fontana che fanno film con passione. Spero che anche i miei film riescano a «parlare» alle giovani generazioni. Ho una sorella minore e ho pensato molto a lei mentre giravo il film. Mi sono reso conto di come manchino modelli al di fuori del mainstream e sono contento che si cominci a finanziare un cinema «diverso», come nel caso di Ardente.x.s. Spero ci siano le premesse per una vera e propria rivoluzione! In quanto registi e registe bisogna prendere dei rischi. Il mio è un film sulla libertà: bisogna essere liberi e creare!