Vittima anche lei della crisi sanitaria che continua a tenere la cultura in ostaggio, la cinquantaseiesima edizione delle Giornate di Soletta è stata costretta a reinventarsi proponendo l’insieme della sua programmazione (focus, tavole rotonde e discussioni incluse) in formato digitale. Un’impresa titanica ma necessaria che ha dato l’impulso per la creazione di un nuovo sito internet arricchito da un archivio cinematografico dedicato alla storia del cinema svizzero.
Un’iniziativa questa che permette di unire il passato al presente e al futuro digitale che invade i nostri schermi. La schiavitù della nostra società, e soprattutto dei pubblici più giovani, rispetto alle numerose piattaforme di VOD che spuntano da ogni dove con ammiccanti proposte, è una realtà che le Giornate di Soletta hanno deciso di sfruttare intelligentemente. Invece di tenere il broncio e rassegnarsi a constatare che il pubblico si rifugia sempre più spesso tra le mura domestiche, davanti allo schermo della televisione, disertando le sale oscure, il festival solettese ha deciso di contrattaccare sfruttando la pandemia di Covid 19 come opportunità per raggiungere altri pubblici, quelli meno avvezzi alle dinamiche festivaliere, seducendoli e spingendoli, in un futuro che speriamo prossimo, a partecipare di persona alla magia del cinema.
Per evidenziare la sua volontà di ritrovare al più presto il rassicurante tepore delle sale oscure, il festival ha deciso di accogliere l’insieme delle interviste ai registi in presenza a Soletta, in quelle stesse sale dove normalmente avrebbero dovuto svolgersi le proiezioni. Nessuna competizione fra digitale e reale quindi, ma piuttosto il bisogno di trasformare il dramma in opportunità, di mettere in avanti il proprio ruolo indispensabile di vetrina del cinema svizzero, e questo malgrado tutto.
Come sottolineato dalla carismatica Anita Hugi, direttrice delle Giornate di Soletta al suo secondo mandato, era inconcepibile pensare di gettare la spugna privando i film svizzeri di un’indispensabile visibilità, soprattutto in questo momento così delicato per la cultura. Rinunciare alla propria programmazione, che raggruppa il meglio del cinema elvetico dell’anno appena trascorso, avrebbe significato lasciare uno spazio vuoto, come un cratere che ci avrebbe ricordato per sempre a che punto la pandemia di Covid 19 ci ha messo in ginocchio. «Per me era molto importante che ogni film avesse il suo momento di gloria e visibilità», sottolinea la direttrice, come a volerci ricordare che, al di là dei limiti di proiezioni forzatamente virtuali, il pericolo più grande per ogni opera d’arte resta l’invisibilità.
Comunque attente a non trasformarsi in mera piattaforma di VOD, le Giornate di Soletta hanno messo a punto un piano d’attacco che permette agli spettatori di godere ogni giorno di un nuovo bouquet di film freschi. Questo al fine di rinnovare costantemente l’esperienza rendendola simile a quella più classica di un festival. Concretamente, ogni film ha non i suoi 15 minuti, come auspicato da Andy Warhol, ma le sue settantadue ore di gloria. Il primo giorno, a mezzogiorno, ha luogo la prima proiezione (giornalmente sono messi a disposizione fra i quindici e i venti film), durante il secondo si svolge l’intervista con il regista, e il terzo raggruppa le due realtà: il film e il ritratto.
In questo modo, creando per ogni film un percorso personalizzato con la sua durata limitata e la sua visibilità propria, il festival spinge l’esperienza dello streaming più in là, dilata la vetrina del cinema svizzero senza però intaccarne l’indispensabile DNA di festival. Un arricchimento dell’esperienza virtuale ripreso anche dal progetto Filmo, un’iniziativa delle Giornate di Soletta, che ambisce a far riscoprire la storia del cinema svizzero attraverso le sue opere faro, spesso di difficile accesso, ora disponibili in streaming accompagnate da una serie di «bonus»: materiale d’archivio, commenti di professionisti del settore, ma anche un’originale «portineria» («film-concierge») che sceglie per noi i contenuti più atti a stuzzicare la nostra curiosità. Un modo di riportarci indietro nel tempo senza rinunciare alle nostre (spesso pigre) abitudini presenti, un «inganno» giocoso che spera di farci riscoprire l’originalità e la radicalità che le opere del passato posseggono.
È invece verso il futuro che guarda il festival con l’introduzione del nuovo premio «Opera prima» che ricompensa un primo film fra tutti quelli presenti nel tentacolare involucro del «Panorama suisse». Fra questi l’intrigante e futuristico Réveil sur Mars della giovanissima Dea Gjinovci (in lizza per il Prix de Soleure), Lovecut, scorcio edificante sulle abitudini sessuali e amorose di un gruppo di giovani d’oggi, del duo di registe Iliana Estañol e Johanna Lietha e il poetico sòne di Daniel Kemény, che competono per il Prix du public. Sebbene siano numerosi i film firmati da nomi noti della cinematografia elvetica – Jean-Stéphane Bron e The Brain (prima mondiale), tuffo nei meccanismi tortuosi del cervello umano, Andrea Štaca e il suo già pluripremiato Mare, o ancora Milo Rau e il suo ambizioso Das neue Evangelium, tutti in lizza per il Prix de Soleure – è proprio tra le giovani leve che vediamo delinearsi un cinema svizzero forte che non ha più peli sulla lingua, multiculturale e sincero.
Una boccata d’aria fresca di cui le Giornate di Soletta non ci privano mai, arricchite quest’anno da uno stimolante programma speciale («Histoire du cinéma suisse») dedicato a sette registe svizzere d’eccezione: Lucienne Lanaz, Gertrud Pinkus, Tula Roy, Marlies Graf-Dätwyler, Isa Hesse-Rabinovitch, June Kovach e Carole Roussopoulos, che, con le loro proposte radicali e controcorrente, hanno marchiato a fuoco la cinematografia svizzera nel decennio successivo all’introduzione del diritto di voto alle donne. Proposte forti che vengono tanto dal passato quanto dal presente per ricordarci che il coraggio è radicato nel DNA del nostro cinema.