Tra i protagonisti delle prime giornate al 75esimo Festival di Cannes anche Tom Cruise. Attore che divide i cinefili, ma apprezzato dai migliori registi al mondo. Basti pensare che ha lavorato con tutti: da Martin Scorsese, a Stanley Kubrick, passando per Francis Ford Coppola, Steven Spielberg, Ridley Scott, Sydney Pollack, Michael Mann e Paul Thomas Anderson.
Sulla Croisette è atterrato in elicottero dopo 30 anni (quando arrivò con Nicole Kidman a presentare Cuori ribelli di Ron Howard) per accompagnare Top Gun: Maverick (in arrivo nelle sale della Svizzera italiana) e si è concesso al pubblico (i 1.068 posti della sala Debussy erano tutti occupati) in una masterclass.
Dopo una standing ovation iniziale ha ripercorso la sua carriera mettendo l’accento su alcuni concetti chiave. In particolare, ha evidenziato come non si sia mai dato alle piattaforme streaming, ma che continua a fare film solo per le sale cinematografiche. Un’idea molto apprezzata a Cannes, visto che è l’unico festival che resiste e non mette in concorso opere prodotte da piattaforme. «Per come intendo io il cinema, lo si può vedere solo in una sala. Del resto, sono cresciuto in questo modo e negli anni ho apprezzato la storia del cinema guardando molti film del passato, sin dai tempi di Charlie Chaplin e Buster Keaton. E ancora oggi adoro il cinema: a volte metto il mio cappellino, vado in incognito nella sala cinematografica e mi siedo in platea con il pubblico».
Alla domanda se i produttori della Paramount gli avessero chiesto di mettere il film sulle piattaforme, dopo i continui rinvii dovuti alla pandemia, Cruise ha risposto ridendo: «Non hanno osato. Sapevano che non sarebbe mai successo. È vero, è stato un periodo difficile per i cinema, ma sono stato nelle sale, ho parlato con chi vendeva popcorn e lavorava alla cassa e li ho tranquillizzati. Quando un film come Mission Impossible o Top Gun sono pronti voglio vederli solo al cinema».
Ha anche sottolineato come la sua passione per la settima arte sia iniziata molto presto: «Già a quattro anni volevo pilotare aerei e partecipare a un film. Mi piaceva molto anche arrampicarmi sugli alberi e scrivere storie con i vari personaggi. Mi ricordo che in quegli anni andavo spesso al cinema che mi pagavo con i lavoretti che facevo per i vicini. Poi, a 18 anni, ho iniziato a viaggiare grazie al cinema e ho capito quale sarebbe stata la mia strada».
Una strada che lo avrebbe portato molto in alto e lontano. «Vero, ma ho studiato tanto e ho cercato sempre di imparare qualcosa di nuovo. Sin dai primi film – ha sottolineato Cruise – curiosavo dietro le quinte, chiedevo ai tecnici qualsiasi cosa: avevo sete di conoscenza, volevo capire come funzionasse la macchina-cinema. Non solo, mi piaceva viaggiare e conoscere altre culture, altre lingue, i differenti sistemi cinematografici». Partendo da questi principi Tom Cruise ha evidenziato più volte la sua idea di cinema: «Per me sul set hanno tutti la stessa importanza. Il film è un prodotto che scaturisce da più teste e grazie al lavoro dei tecnici. Ecco perché mi piace parlare di team e non del lavoro di un singolo. Anche il sequel di Top Gun è il frutto del lavoro di moltissime persone ed è la conclusione di un processo durato molti anni». Del resto, ha aggiunto, dopo il successo del primo all’epoca i produttori avevano insistito per un sequel, ma i tempi non erano maturi. «Non mi sentivo pronto e infatti ho dovuto studiare ancora molto per realizzarlo».
È poi entrato nel merito di alcuni dei suoi film più famosi. Per esempio, ha ricordato come in Eyes Wide Shut, Kubrick gli fece ripetere diverse scene più volte. «Anche quello fu un lavoro di squadra. Con Stanley e Nicole abbiamo lavorato davvero moltissimo per trovare il tono giusto di ogni scena e quindi di tutto il film». Per quanto riguarda le sue note peripezie sul set, dove non vuole controfigure, ha detto: «Era il mio sogno da bambino che, grazie al cinema, è diventato realtà. Mi buttavo dalle piante, adoravo la velocità e negli anni queste passioni le ho trasformate in lavoro imparando a guidare aerei, buttandomi col paracadute, e trovandomi in altre situazioni al limite».
Una masterclass sicuramente interessante anche se l’impressione che ci ha lasciato, uscendo dalla sala, è di qualcuno che avesse imparato una parte e la mandasse a memoria. Non per nulla, i concetti che abbiamo sintetizzato, sono stati ripetuti più volte, anche quando la domanda non lo richiedeva. Anche l’outfit (maglia, pantaloni, scarpe e calze nere) erano stati sicuramente studiati per l’incontro con una platea di appassionati di cinema. Ecco, abbiamo intravisto molto l’attore e poco l’uomo. Stanley Kubrick gli avrebbe sicuramente fatto ripetere la scena.