Nata e cresciuta in Georgia dove ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Tbilisi, Elene Naveriani è una nomade che ha scelto come nutrimento creativo il mondo e la sua brillante diversità. Un Bachelor in regia cinematografica all’HEAD di Ginevra, Elene esprime nei suoi film la bellezza di una multiculturalità che rivendica come dono e forza vitale. Il suo universo artistico popolato da personaggi «atipici», coscienti e fieri della loro diversità ma anche consapevoli del rischio che essa implica, diventa manifesto contro un conformismo caustico e soffocante che reprime ogni tentativo di rivolta. Che si tratti di sessualità, genere o etnia, Elene stravolge le regole di una società eteronormativa patriarcale che rifiuta l’alterità, che tenta di imporre una forma di amore univoco e stereotipato.
Quattro anni dopo il successo di critica del primo potente lungometraggio I Am Truly A Drop Of Sun On Earth, Elene ha presentato quest’anno a Locarno nel Concorso Cineasti del presente il suo secondo lungometraggio Wet Sand, un grido catartico che riecheggia nel profondo di ognuno di noi, un atto artistico militante che dà voce a tutti coloro che hanno dovuto soffocare la propria identità a causa di una società conformista e spietata che vuole imporre con violenta arroganza il proprio pensiero egemonico. Sorta di (anti)eroi romantici versione queer, Eliko e Amnon, incarnano le sofferenze di una comunità, quella LGBTIQ+ georgiana (ma il discorso si potrebbe ampliare a molte, troppe, altre realtà), soffocata da una società che vede la «diversità» come una tara inaccettabile da rimuovere a tutti i costi.
Con il suo ultimo film Elene ci insegna che la verità, l’espressione incondizionata dei propri sentimenti, ha un prezzo che vale la pena di pagare se si vuole conquistare la libertà di esistere. Grazie a una fotografia elegante e potente (di Agnesh Pakozdi) che riflette come un prisma multicolore il mondo interiore dei personaggi, Wet Sand tocca nel profondo raccontandoci una storia personale che diventa universale. Elene descrive il suo ultimo film come un «atto di empowerment per le nuove generazioni alle prese con la questione dell’identità», un (contro)manifesto nel quale i sentimenti, quelli profondi, incandescenti di verità, diventano vere e proprie armi con le quali combattere un conformismo che si crede invincibile.
Wet Sand è un film necessario che permette di sognare un futuro migliore nel quale vivere la propria identità con fierezza ma anche tenerezza, un futuro nel quale i così detti «mostri» si liberano dalle catene imposte dalla società. Con il suo nuovo progetto, che sta attualmente sviluppando, basato sull’adattamento cinematografico del romanzo Blackbird Blackbird Blackberry della scrittrice e attivista femminista georgiana Tamta Melashvili, Elene intende portare avanti il discorso sulla «diversità», mostrandoci quanto sia importante dare voce a discorsi dissidenti che della norma si prendono allegramente (e coscientemente) gioco. L’abbiamo incontrata per discutere del suo universo artistico, delle sue passioni e soprattutto del suo impegno nella comunità LGBTIQ+.
Potresti parlarci brevemente del tuo percorso artistico? Cosa ti ha spinto a girare il tuo primo film e quali sono le tue influenze?
Ho studiato pittura per cinque anni a Tbilisi. A un certo punto mi sono resa conto che non potevo esprimere quello che sentivo attraverso l’arte visiva. Dipingo ancora, ma solo per me, esclusivamente per un piacere personale. E poco a poco, senza aver mai veramente pensato di esprimermi attraverso la settima arte, mi sono trovata a girare dei film. Ho sempre amato il cinema, era il mio «mondo al contrario» quand’ero adolescente. Mi piaceva avventurarmi in universi destabilizzanti. Ogni film possedeva un universo diverso, una storia differente. Uno di questi film mi ha davvero marcata a fuoco, mi riferisco a Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. Questo film mi ha ridato fiducia nell’umanità. Posso dire che il Neorealismo italiano è stato il mio grande amore d’infanzia.
In Wet Sand metti in scena con poesia e una necessaria dose di umorismo un dramma sentimentale che ricorda Romeo e Giulietta versione queer. Come hai affrontato lo scottante tema della repressione nei confronti della comunità LGBTIQ+ in Georgia, anche se potremmo tristemente ampliare il discorso alla nostra società nel suo insieme?
Per me questo tema non è solo d’attualità, l’ho vissuto sulla mia pelle e ne sono stata testimone. È stato un problema nel passato, lo è oggi e purtroppo lo sarà ancora in futuro. È una questione personale che mi fa male e mi preoccupa enormemente. La storia narrata in Wet Sand non concerne solamente la comunità LGBTIQ+ ma l’umanità nel suo insieme, le persone che provano dei sentimenti che la società considera «differenti» rispetto alla norma e che alimentano senza paura la loro immaginazione. Purtroppo la società non gli permette di vivere liberamente per bigotteria o paura. Gli attori di Wet Sand sanno di incarnare i difensori.e.x della diversità, erano coscienti del contenuto del film e hanno accettato di farne parte. Alcuni di loro erano alla loro prima esperienza cinematografica, altri sono attori.rici.x professionisti.e.x. Avevamo tutti.e.x lo stesso obiettivo: dare voce all’amore che la società d’oggi non vuole ascoltare e regalare alla comunità LGBTIQ+ un po’ di speranza nel futuro.
Per quanto riguarda la rappresentazione queer, ci sono film o registi.e.x che ti hanno ispirato (ad es. Almodovar con il suo lato melodrammatico o Yann Gonzalez con l’ossessione per la dimensione del fantasma)?
Guardo di tutto, il cinema mi ossessiona. Tranne ovviamente i film violenti, eteronormativi e sessisti, che mi annoiano e disgustano. Adoro entrare in altri universi. Non voglio fare nomi, anche se ci sono molti registi.e.x queer davvero interessanti: Monika Treut, Cheryl Dunye o Alain Guiraudie. Il queer non riguarda solamente la sessualità, ma anche lo sguardo e il punto di vista.
In che misura le tue origini e il tuo percorso cosmopolita hanno influenzato il tuo universo artistico? Consideri il tuo cinema come militante?Penso di sì. Il fatto di essere nata in Georgia mi ha regalato qualcosa di unico. Il mio essere «multiculturale» è un privilegio e ne sono riconoscente. Cambiare nazione e cultura forma e al contempo trasforma gli individui. Il nostro passato influenza il nostro presente. Credo che se De Sica mi ha aiutata ad alzarmi dal letto e a sentirmi meglio, forse anche i miei film daranno speranza a chi ormai l’ha persa. Giro i miei film perché mi sento di farne parte e spero, come i miei personaggi, che le cose cambino. Forse è anche questa una forma di attivismo attraverso il linguaggio cinematografico.