Il blues è una ricerca costante

Un incontro con Nic Niedermann, bluesman svizzero reduce con il suo gruppo dall’International Blues Challenge di Memphis
/ 11.05.2020
di Alessandro Zanoli

Esiste una generazione di musicisti svizzeri che si dedica al blues con grande impegno e capacità. Dopo aver intervistato Philipp Fankhauser, («Azione 51» del 2019) è ora la volta di Nic Niedermann, chitarrista di Baden che è reduce da un’esperienza entusiasmante. Qualche settimana fa ha infatti rappresentato la Svizzera all’International Blues Challenge di Memphis. Attivo sulle scene nazionali da decenni, Niedermann è un musicista eclettico che, insieme alla cantante nigeriana Justina Lee Brown, sta sperimentando un’evoluzione delle forme di blues.

La prima domanda, Nic, è quasi obbligatoria: come sta trascorrendo questo periodo, cosa sta facendo?
Passo questi giorni così particolari rilasciando molte interviste e dando concerti in streaming. Ho molto tempo per studiare musica o per comporre nuovi pezzi. Mi manca un po’ la motivazione, però, perché non so quando potrò farmi ascoltare ancora e soprattutto con quel che faccio non guadagno nulla. Dopo un grande lavoro di preparazione dobbiamo invece incassare quasi giornalmente annullamenti di concerti, ad esempio per il Bellinzona Blues Festival e il Vallemaggia Magic Blues. Questo certo non tira su di morale.

Dopo aver avuto un’esperienza musicale di vari anni con Tonic Strings, un duo di chitarre acustiche, ha intrapreso un percorso musicale nel mondo del blues. Chi sono gli artisti che preferisce in questo genere musicale e cos’è per lei il blues?
Credo di essere un tipico chitarrista svizzero, influenzato in gioventù dagli assoli dei virtuosi degli anni 70 e 80. Noi svizzeri non possiamo dire di possedere delle nostre radici culturali in questo contesto. Io ascoltavo e suonavo tutto quello che mi pareva bello, appassionante. Il rock di Jimi Hendrix, di Santana, dei Deep Purple e studiavo le loro radici nel blues e nella musica latina. Mi sono sempre piaciuti comunque anche il flamenco e il Gipsy Jazz, e anche il repertorio classico per chitarra jazz. Ho suonato tutti questi stili in vari gruppi. È stata un’esperienza che mi ha dato delle idee ed è anche un buon modo per sopravvivere come musicista professionista in Svizzera.Negli ultimi anni ha iniziato una collaborazione molto stretta con la cantante nigeriana Justina Lee Brown.

Come è cambiato il suo stile al contatto diretto con un’artista che porta le proprie radici africane nella musica?
Justina Lee Brown è una cantante dalla bravura di livello mondiale. A me e alla band ha dato la grande possibilità di esibirci sui palcoscenici più importanti. Ho scritto e prodotto con lei le nuove canzoni. Non volevamo seguire nessuno stile particolare, ma volevamo fare una musica onesta, diretta e soprattutto piena di emozione. In questo modo abbiamo potuto contare sulle sue radici blues di origine africana.

Lei è reduce da un’esperienza molto importante con il suo gruppo e con Justina: avendo vinto lo scorso anno il Blues Contest 2019 svizzero, siete stati invitati a Memphis per partecipare al Blues Challenge 2020. Ma il blues è veramente una lingua internazionale? In altre parole: può un europeo suonarlo con il giusto sentimento e la giusta ispirazione?
Il blues, e tutta la musica in fondo, non ha un colore della pelle. Appartiene a tutti e a nessuno. Chiunque sia in grado di sentire la profonda sincerità e immediatezza del blues fa parte di questa lingua universale. È stata una vera sfida entrare con la nostra musica nella patria del blues. Anche perché noi non suoniamo il blues tradizionale, quello in 12 battute. In quel contesto ci sono molti puristi che non accettano le nuove interpretazioni. E questo ha suscitato anche grandi discussioni. La nostra musica, con inflessioni ed elementi africani, è ancora blues? In ogni caso abbiamo avuto sempre un pubblico entusiasta e grandi complimenti dai cultori più quotati. Ci hanno fatto molte interviste e hanno addirittura girato un film su di noi. Nel blues ci sono molti tradizionalisti, ma io preferisco seguire la mia strada.

Come avete vissuto il confronto con altri gruppi che venivano da tutto il mondo?
L’intestazione del festival, International Blues Challenge, non corrisponde per nulla all’idea comunitaria che caratterizza il blues. Non abbiamo mai suonato «contro» un altro gruppo, anzi, al contrario, gli scambi con gli altri musicisti sono stati eccezionali.E alla fine siete riusciti a entrare in semifinale: viene da chiedersi come possono i giurati di una simile competizione «misurare» il potenziale di una band.Guarda, posso dirti che siamo arrivati solo in semifinale perché si è messo di traverso un giurato del campo più tradizionalista: solo questo, a dispetto dell’entusiasmo del pubblico, ci ha impedito di entrare nella finale.

Guardiamo al futuro; siete sempre convinti di continuare la vostra esperienza nel mondo del blues, o avete voglia di scoprire ancora nuova musica?
A conti fatti, il tour a Memphis e New Orleans è stato per noi una bellissima conferma del fatto che come band svizzera possiamo riscuotere un successo internazionale. La musica, da parte sua, continuerà a evolvere. La tradizione non deve chiudere la strada all’innovazione e alla scoperta. /AZ