Dove e quando

Relationships, Richard Avedon, a cura di Rebecca Senf, Palazzo Reale, Milano. Fino al 29 gennaio 2023. Ma-me-ve-sa-do 10.00-19.30, gio 10.00-22.30. www.avedonmilano.it

Richard Avedon, Self-portrait, Provo, Utah, August 20, 1980 (© The Richard Avedon Foundation)

I volti e le storie negli scatti di Richard Avedon

A Palazzo Reale una mostra rende omaggio al maestro americano che ha cambiato la fotografia
/ 14.11.2022
di Alessandra Matti

Un grande ritorno, quello di Richard Avedon a Milano. Ventisette anni dopo la prima mostra, Palazzo Reale gli dedica una straordinaria esposizione, Relationships. Centosei immagini che scandiscono una carriera lunga più di sessant’anni: gli esordi nel 1942, quando, arruolato nella Marina Mercantile, con la sua Rolleiflex ritrarrà più di centomila volti, le foto di moda per «Harper’s Bazaar» e «Vogue», i ritratti di personalità celebri e di gente comune. E poi le collaborazioni con gli stilisti più importanti degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso e, infine, i progetti eccentrici come In the American West. Le foto provengono dalla collezione del Center for Creative Photography di Tucson e dalla Richard Avedon Foundation. Il percorso espositivo, articolato in dieci sezioni, si impernia intorno ai due nuclei più importanti della sua ricerca: la fotografia di moda e la ritrattistica.

«I miei ritratti riguardano più me stesso che le persone fotografate» si legge su uno dei pannelli che illustrano le sezioni della mostra. Difficile dire che cosa sia stata la fotografia per Avedon, probabilmente un mezzo per capire sé e la realtà, anche quella più nascosta. Un mezzo che porta a vedere qualcosa fuori da sé, qualcosa con cui si entra in relazione e che dà piacere, e che alla fine riconduce a sé in una circolarità esperienziale e di significato.

Il 1960 rappresenta uno spartiacque nello stile delle sue foto di moda. Le foto giovanili sono scattate più spesso in studio e le modelle, in pose dinamiche, sono interpreti di una narrazione quasi cinematografica. In Carmen, Omaggio a Munkácsi (1957) la figura femminile, colta a metà di un salto, è al centro dell’inquadratura. La foto è un omaggio al grande fotografo ungherese Martin Munkácsi, che aveva cominciato la sua carriera come reporter sportivo, a cui Avedon deve la sensibilità nel catturare le immagini in movimento, trasferita poi alla fotografia di moda.

Dopo il 1960 Avedon si concentra esclusivamente sulle modelle, utilizzando spesso uno sfondo neutro e non rinunciando al dinamismo della posa. Jean Shrimpton in abito da sera Cardin (1970) è una citazione di Umberto Boccioni, chissà se consapevole o meno, e delle sue Forme uniche della continuità dello spazio. La silhouette della modella, avvolta nell’abito in movimento, diventa forma nello spazio.

I ritratti di Avedon hanno una cifra stilistica particolare, che predilige lo sfondo bianco, che toglie, eliminando possibili elementi di distrazione e al contempo dà, enfatizzando la posa, il gesto, l’espressione. I soggetti occupano quasi tutta l’inquadratura, hanno poco vuoto intorno a sé. I volti sono spesso ripresi a una distanza minima, che restituisce a chi li guarda un osservatorio privilegiato, solitamente riservato agli amici e alle persone più vicine. Straordinaria la selezione dei soggetti fotografati: celebrità del mondo dello spettacolo, politici, scrittori, musicisti, attivisti per i diritti civili, persone comuni.

Avedon ebbe modo di fotografare alcuni soggetti a distanza di anni, come il pittore Jasper Johns nel 1965 e nel 1976 o Truman Capote, che incontrò per la prima volta nel 1949 e con il quale collaborò in occasione del suo primo libro di immagini Observations. Delle due foto esposte in mostra, la prima, del 1955, ci restituisce lo scrittore a trentun anni, occhi chiusi, le mani dietro la schiena, il capo leggermente reclinato: il ritratto di una giovinezza vulnerabile. La seconda foto è del 1974, e nulla o quasi è rimasto del giovane di vent’anni prima: lo sguardo è lontano, disincantato e Avedon si focalizza sulla testa dello scrittore, che campeggia al centro dell’inquadratura.

Infine c’è l’Avedon dei progetti eccentrici rispetto alla moda, come The Family, del 1976, realizzato per la rivista «Rolling Stone»: un ritratto collettivo dell’élite di potere americana nell’anno delle elezioni del bicentenario. O In the American West, realizzato tra il 1979 e il 1985 su commissione dell’Amon Carter Museum of American Art di Fort Worth. In questo caso Avedon lavora a una serie di ritratti di abitanti dell’Ovest. Sceglie le persone per il potenziale espressivo, come nel caso di Mary Watts, o il possibile ruolo nella narrazione che ha in mente. Lo sfondo bianco è lo stesso dei ritratti in studio, le location sono i parcheggi, le strade, i giacimenti petroliferi. Dal progetto, che affronta i temi della democrazia, del mito americano del successo e presenta le persone per quello che sono documentandone la vita, scaturiranno un libro e una mostra itinerante, che toccherà sei città partendo proprio da Fort Worth nel 1985.

Avedon era solito dire che nelle sue foto non aveva bisogno di scandagliare chissà quali profondità delle persone, come ci ricorda un altro pannello nelle sale del percorso espositivo: tutto è già sulla superficie delle cose e dei volti, bisogna solo saperlo vedere e dargli il giusto rilievo.

Perché, come diceva Nadar, il primo grande fotografo del nostro tempo, «in fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare». E Avedon sapeva vedere.