Anche le storie possono avere un lato buono e uno cattivo, e un terzo che produce effetti inaspettati. In qualità di scrittrice di storie, ho la responsabilità di dire quanto le storie siano necessarie, quanto ci aiutino nella comprensione reciproca, come creino empatia. Ma dal momento che scrivo storie, sono anche consapevole della loro ambiguità e dei loro pericoli. Limitiamoci ad affermare che le storie sono potenti. Possono cambiare il pensiero e il sentimento della gente – in meglio o in peggio.
Com’è dunque la storia che ci raccontiamo sul momento presente e le sue tribolazioni? Qualunque siano le cause del cambiamento che stiamo attraversando, siamo in uno di quei momenti in cui i conigli tendono le orecchie perché è entrato in scena un cacciatore.
Arriverà un lupo travestito da agnello, oppure perfino un lupo travestito da lupo, e quel lupo dirà: conigli, avete bisogno di un leader forte, e io faccio al caso vostro. Come per magia farò apparire un mondo futuro perfetto, e i gelati cresceranno sugli alberi. Per prima cosa però dobbiamo abolire la società civile – è troppo molle e degenerata – e dovremo rinunciare alle norme comportamentali fin qui accettate, grazie alle quali possiamo camminare per strada senza accoltellarci di continuo. E poi dovremo eliminare tutta questa gente. Solo a quel punto apparirà una società perfetta!
Il lupo dice: fate ciò che dico e tutto andrà bene. Se vi opponete ringhierò, vi papperò e finirete a pezzettini.
I conigli si impietriscono perché sono confusi e terrorizzati, e quando infine capiscono che il lupo non vuole il loro bene, ma ha organizzato tutto a beneficio dei lupi, è troppo tardi.
Sì, lo sappiamo, direte. Abbiamo letto le fiabe. Abbiamo letto la fantascienza. Siamo stati messi in guardia, spesso. Ma da qualche parte tutto questo non impedisce che la storia continui a ripetersi nella società degli uomini. A questo punto mi devo scusare con i lupi. Cari lupi, ho utilizzato il vostro nome solamente come metafora. Per favore, non aggreditemi sui social con messaggi del tipo: Essere umano privilegiato e idiota! Che ne sai tu della vita interiore dei lupi, sei mai finita con la zampa in una tagliola?
Il punto è chiaro. Sono consapevole che voi lupi in fondo siete gentili, perlomeno con gli altri lupi, o perlomeno con quelli della vostra stirpe.
Questa piccola fiaba proviene dal mio passato più profondo, da un’epoca in cui ero una bambina e crescevo nelle lande selvagge del nord del Canada, lontana dai villaggi, dalle cittadine e dalle città, ma assai vicina a conigli e lupi. Lassù, quando pioveva, c’erano tre forme di attività: scrivere, disegnare e leggere. Tra i libri che leggevo vi era la raccolta delle Fiabe di Grimm, in versione integrale, con tanto di occhi cavati e fiammanti scarpette rosse.
I miei genitori l’avevano ordinata per posta, e quando videro cosa conteneva, si preoccuparono che potesse rovinare i loro figli. E nel mio caso probabilmente è stato così. Il libro deve avermi traviato nel senso di avermi spinta a diventare una scrittrice, poiché senza le Fiabe dei Grimm – così intelligenti, complesse, spaventose, così stratificate, ma con una nota di speranza, tanto più struggente proprio perché improbabile – come avrei mai potuto scrivere Il racconto dell’ancella?
Cominciai a scrivere il romanzo a Berlino Ovest nel 1984 – sì, George Orwell mi seguiva da sopra la spalla – su una macchina da scrivere tedesca presa a noleggio. Il Muro era tutt’intorno a noi. Dall’altra parte c’erano Berlino Est, ma anche la Cecoslovacchia e la Polonia, Paesi che allora visitai. Ricordo ancora ciò che diceva la gente e ciò che non diceva. Ricordo le pause piene di significato. Ricordo la sensazione di dovere fare attenzione io stessa a quello che dicevo, poiché potevo involontariamente mettere in pericolo qualcuno. Tutto ciò ha trovato posto nel mio libro.
Il libro fu pubblicato nel 1985 in Canada, nel 1986 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Sebbene come regola mi fossi imposta di non mettere nel libro neanche la minima cosa che gli esseri umani non avessero già fatto in qualche luogo in qualche momento, parte della critica accolse il libro con un certo scetticismo. Sì, era troppo femminista, con tutti quei discorsi del controllo sulle donne e dei loro corpi, ma anche troppo forzato.
Negli Stati Uniti una cosa del genere era impensabile, in fondo durante la Guerra Fredda, gli USA non erano forse visti come una forza buona? Non rappresentavano democrazia e libertà, per quanto imperfette? Al contrario dei sistemi chiusi come quello dell’Unione Sovietica, l’America era aperta. Al contrario dei regimi tirannici, l’America prometteva opportunità infinite basate sulla meritocrazia. Sebbene l’America dovesse ancora elaborare alcuni capitoli oscuri della propria storia, quelli non erano forse ideali? Sì. Lo erano.
Ma questo avveniva allora. Ora, più di trent’anni più tardi, il libro è ritornato di attualità, perché all’improvviso non sembra più una fantasia distopica tirata per i capelli. Ora è diventato fin troppo reale. In questi giorni nei parlamenti appaiono figure vestite di rosso, desiderose di protestare silenziosamente contro leggi create per lo più da uomini per controllare le donne. Apparentemente il loro scopo è quello di tirare indietro le lancette dell’orologio, riportandole all’Ottocento. In quale mondo vogliono vivere questi legislatori? In un mondo pieno di diseguaglianze, questo è chiaro. Un mondo pieno di diseguaglianze in cui loro saranno ancora più potenti e molta gente ancora meno.
Ma non vi voglio deprimere troppo. C’è speranza, c’è speranza: menti brillanti sono già all’opera per risolvere questi problemi. Ma nel frattempo cosa deve fare l’artista? A che pro fare arte in un’epoca tanto tormentata? E poi, cosa è l’arte? Perché dovremmo occuparcene? A cosa serve? Non esiste una risposta generale.
Per molti secoli l’arte fu al servizio dei governanti – re, imperatori, papi eccetera. Ma dall’epoca romantica e post-romantica nei confronti dell’artista le aspettative sono cambiate. Di sicuro ci si aspetta che l’artista dica la verità davanti al potenti, che racconti le storie che sono state soppresse, che dia voce ai senza voce.
E molti scrittori l’hanno fatto; spesso finendo nei guai e a volte pagando con la vita. Eppure sentivano il bisogno di creare. Hanno scritto in segreto, hanno contrabbandato i loro manoscritti mettendoli in salvo dai pericoli, rischiando la propria vita. Sono venuti da lontano, esausti come il messaggero del Libro di Giobbe, solamente per dire: Io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire.
Per venirtelo a dire. Per venirtelo a dire, Caro Lettore, singolarmente. Un libro è una voce nel tuo orecchio; il messaggio – mentre lo leggi – è solamente per te. La lettura di un libro è sicuramente l’esperienza più intima che possiamo avere nella testa di un altro essere umano. Scrittore, libro e lettore – in questo triangolo il libro è un messaggero. E tutti e tre sono parte di un unico atto creativo, come il compositore, il suonatore della sinfonia e l’ascoltatore partecipano tutti e tre. Il lettore è il musicista del libro. Per quanto riguarda lo scrittore, la sua parte è compiuta quando il libro esce verso il mondo; sarà poi il libro a vivere o a morire, quello che accade allo scrittore a quel punto è immateriale dal punto di vista del libro.
Ogni vincitore nel mondo delle arti è il rappresentante provvisorio di tutti gli artigiani di quell’arte, e della comunità che permette all’arte di esistere – coloro che se ne sono andati prima, coloro da cui noi stessi abbiamo imparato, quelli che sono morti prima di venire riconosciuti, quelli che hanno dovuto lottare contro la discriminazione razziale per trovare la propria voce narrante, coloro che sono stati uccisi per le loro posizioni politiche, e coloro che sono riusciti a sopravvivere a periodi di oppressione e censura. E poi vi sono tutti quelli che non sono riusciti a diventare scrittori perché non ne hanno avuto la possibilità – come ad esempio i numerosi narratori e poeti appartenenti alle culture indigene passate e presenti del Nord America, dell’Australia e della Nuova Zelanda. Le porte per queste voci si stanno aprendo in tutto il mondo; ma altre porte vengono chiuse. Dobbiamo stare attenti.
Non permettiamo che le porte vengano chiuse o le voci messe a tacere. Un giorno camminerò lungo una spiaggia, o entrerò in una libreria, e troverò una bottiglia, o un libro, li aprirò, e leggerò il messaggio che mi hai rivolto – sì, da parte tua, da te che sei là fuori, giovane scrittore magari appena pubblicato.
E dirò: sì. Riesco a sentirti. Riesco a sentire la tua storia. Riesco a sentire la tua voce.
(Il testo (qui riportato in versione ridotta) è stato tradotto dall’inglese da Simona Sala).