Era già passato in versione non definitiva alle Giornate del cinema svizzero di Soletta lo scorso gennaio, riscuotendo larghi consensi. Chris The Swiss dell’esordiente svizzera Anja Kofmel si è confermato una delle visioni più interessanti della 57esima Semaine de la critique, la sezione del Festival di Cannes organizzata dai critici francesi e riservata alle opere prime e seconde. Un documentario animato d’indagine che parte dalle vicende personali e familiari dell’autrice per andare a scavare in uno degli avvenimenti più tragici e complessi della storia europea recente.
Era partito per l’oceano, le avevano detto a proposito del cugino Christian. Così si parte da immagini di acqua per andare, molti anni dopo, a ricostruire la vita di Christian Würtenberg, giornalista di Basilea appassionato di questioni estere. Un giovane cronista trovato morto, con segni da strangolamento e con indosso una divisa, all’inizio di gennaio 1992 vicino a Osijek, in Croazia, dove si era recato per seguire il conflitto tra la repubblica da poco dichiaratasi indipendente e la Federazione jugoslava che stava perdendo pezzi ed era preda dei deliri nazionalistici di Slobodan Milošević.
La regista cerca la verità sulla fine del cugino incontrando i testimoni e gli ex colleghi, mettendo insieme tutti i pezzi possibili. Oltre a volere spiegazioni sui fatti accaduti, cerca di capire le motivazioni del parente, cosa l’abbia spinto a quelle scelte e come si sia trovato in determinate situazioni. E scopre informazioni spiazzanti su di lui: una delle prime scoperte è che il giovane era in realtà un agente segreto e che l’attività giornalistica non era che una copertura. E apprende le vere ragioni di un precedente viaggio in Africa del sud, dove Chris si era arruolato nelle milizie della Namibia.
Mentre si arrende alla realtà di un cugino molto diverso da quello che ricordava ed era stato raccontato, Anja Kofmel cerca anche di capire il conflitto e le parti in causa, compreso il coinvolgimento dell’Opus Dei nella guerra e nell’omicidio e quello del terrorista Carlos «lo Sciacallo». L’accusato è il controverso Eduardo Rosza Flores, detto Chico, giornalista di padre ungherese e madre catalana, nato in Bolivia e cresciuto in Ungheria. Il documentario Chico del magiaro Ibolya Fekete del 2001 ne racconta in parte la storia, come nel 1991 arrivò in Croazia in qualità di corrispondente, ma presto si arruolò come militare e arrivò a ottenere pure la cittadinanza croata. Flores fu ucciso nel 2009 in Bolivia con l’accusa di preparare un attentato al presidente Evo Morales.
Alla morte di Würtenberg si lega anche quella del fotografo inglese Paul Jenks, ammazzato poco tempo dopo nelle stesse aree. La Kofmel, che al tempo dei fatti non aveva ancora 10 anni, ha lavorato sette anni prima di arrivare al completamento del film. I disegni realizzati come appunti e come impressioni durante il viaggio e la ricerca sono stati il punto di partenza per la parte animata in bianco e nero: non solo vanno a integrare ciò che non c’è, ma contribuiscono a trasmettere la dimensione drammatica della storia. Più volte le immagini si trasformano da reali ad animate e viceversa con belle soluzioni, mentre la regista non risparmia di mostrare le situazioni più crude.
Un lavoro che può far pensare a Valzer con Bashir, ma soprattutto ricorda quelli della romena Anca Damian, come Crulic – The Path To Beyond e La montagne magique. Una regista che utilizza la combinazione di immagini dal vero, tra repertorio e interviste, e animazione, per integrare ciò che manca, al servizio di indagini rigorose. Una tecnica sempre più impiegata che riesce a unire approfondimento ed emozioni, come dimostra un altro esempio presentato sempre a Cannes, nella sezione Quinzaine des realisateurs: Samouni Road dell’italiano Stefano Savona.