I segreti degli affreschi

In un libro di Maurizio De Luca, i retroscena dei grandi cantieri di restauro del Vaticano, che svelano tecniche e «debolezze» dei grandi maestri
/ 06.06.2017
di Emanuela Burgazzoli

«Anche i muri parlano, sì ma bisogna saperli ascoltare». Dalle parole del professor Maurizio De Luca traspare la grande passione per il suo lavoro: una carriera decennale – oltre quarant’anni – trascorsi nei Musei Vaticani, cominciando come apprendista fino ad assumere la carica di ispettore e capo restauratore dei laboratori di Restauro. Una posizione che ne fa il privilegiato testimone di molti grandi cantieri di restauro delle pitture murali in Vaticano. Poter salire sui ponteggi e osservare da vicino i dettagli di un affresco – o meglio della pittura «a fresco», una tecnica di pittura difficile perché stesa sull’intonaco ancora molle e umido, contrapposta alla pittura stesa «a secco» – significa leggere le innumerevoli tracce che rivelano i segreti non soltanto delle tecniche sviluppate da alcuni maestri, come Raffaello e Michelangelo, ma anche i segni che raccontano la quotidianità delle botteghe d’arte con decine di maestranze che si contendevano anche per anni gli spazi nelle cappelle e negli appartamenti papali.

«La professione di restauratore si fa con tutti i sensi, la vista, ma anche il tatto e l’olfatto», ribadisce De Luca. E in questo «corpo a corpo con le opere» il maestro restauratore raccoglie veri e propri tesori confluiti in un volume pubblicato nel 2016 per Artemide intitolato Verità nascoste sui muri dei maestri. Michelangelo, Raffaello, Pintoricchio e gli altri in Vaticano, recentemente presentato dall’autore alla Supsi di Trevano. Il «fresco» è un vero e proprio documento a muro, una fonte d’informazione cruciale per ricostruire la storia di quelle immagini, complementare ad altre importanti fonti iconografiche e testuali, come le Vite del Vasari.

«Per scoprire per esempio quante mani fossero all’opera sui muri dei palazzi Vaticani, basta osservare le mani, che insieme ai piedi sono le parti del corpo più difficili da dipingere», ricorda De Luca; si possono così identificare stili, ma anche capacità tecniche, molto diversi fra loro. Avvicinando l’occhio alle pareti e osservando le gallerie di ritratti sugli affreschi ci si accorge che i maestri del Quattrocento erano attenti alla resa di ogni dettaglio, dalle piume di un pennacchio, al vento che muove i capelli, alle ciglia nere dipinte a secco, fino alle labbra livide sui volti di fanciulli pallidi che denotano patologie cardiache o al rossore degli occhi irritati da una congiuntivite. Gli artisti di epoche successive, come Michelangelo, si mettono invece nei panni dello spettatore a metri di distanza dall’affresco, limitandosi a evidenziare e definire pochi ed essenziali tratti, quelli necessari a essere riconoscibili da lontano.

Ma le sorprese non finiscono qui: ingrandendo lo sfondo di alcuni affreschi emergono altri particolari sorprendenti – come una figurina che ne spinge un’altra facendola precipitare da un dirupo, una testa di animale celata in un frammento di muro – ammiccamenti ironici e scherzosi di chi era all’opera su quei muri sacri, e a ben guardare, rivela il professor De Luca, gli affreschi nascondono anche scherzi scurrili che i pittori si facevano fra loro, ma che «non era il caso di pubblicare».

Nel volume di Maurizio De Luca si scopre che Sisto IV – il papa da cui prende il nome la Cappella Sistina – fra le varie botteghe al lavoro sceglie quella di Cosimo Rosselli, preferito per il suo largo utilizzo dell’oro, tanto che gli altri dovranno adattarsi al gusto del pontefice (più che discutibile, come commenta il Vasari) e ritoccare, così «guastandoli», molti dei loro affreschi. Anche Pintoricchio (soprannome che accenna alla statura del pittore o alla sua effettiva abilità di pittore?) abbonda con i rilievi di stucco dorati nelle stanze di Alessandro VI, tanto da essere accusato di «eresia artistica»; in realtà – spiega De Luca – questa enfasi era un richiamo voluto allo splendore dei retablo spagnoli. Il papa Giulio Farnese chiama invece Raffaello a decorare le pareti della Stanza di Eliodoro: il grande maestro del Rinascimento vi dipinge in particolare l’episodio della liberazione di Pietro. Scena che osservata da vicino rivela una straordinaria capacità di trattare la luce: Raffaello infatti fa convivere con giochi di proiezioni e ombre sullo stesso affresco ben cinque fonti luminose – dalla luce della luna all’aura dell’angelo.

Un ultimo capitolo De Luca lo riserva però alla Cappella Paolina, la più intima e la più privata fra tutti i luoghi di culto dei Palazzi Apostolici, e al suo restauro, terminato nel 2009 e che ha personalmente supervisionato. Paolo III Farnese commissiona negli anni Quaranta del Cinquecento due murali a un Michelangelo già anziano, reduce dall’impresa del Giudizio universale, ormai stanco e nel mezzo di una crisi spirituale. «Dipingerò di malanimo e farò cose di malanimo», scrive infatti il Buonarroti. Tutto questo si riflette nei due affreschi, che richiederanno otto anni di lavoro, in cui il pittore raffigura la conversione di San Paolo e la Crocefissione di San Pietro, scena in cui è stato scoperto da De Luca anche un nuovo autoritratto di Michelangelo. Affreschi che costituiscono una sorta di testamento spirituale del maestro; ormai liberato dalle pressioni che subiva mentre era al lavoro sul Giudizio universale nella Cappella Sistina e affrancato dalla preoccupazione del virtuosismo tecnico, Michelangelo dà prova di una pittura dolente, ma attraversata da intuizioni potenti e soluzioni formali ardite.

A proposito di Cappella Sistina, conclude il professore De Luca, fra i sogni rimasti nel cassetto c’è la mancata scoperta degli affreschi del Perugino ancora celati dietro i muri affrescati da Michelangelo. Grazie al suo libro però molti visitatori possono ora oltrepassare virtualmente le porte chiuse di molte stanze in Vaticano, provando la sensazione di poter vedere e ascoltare, almeno per qualche momento, l’ambiente frenetico e rumoroso di quei cantieri che ci hanno lasciato patrimoni artistici inestimabili.