I quattro astronauti che cambiarono il pop

Pubblicato in home video il documentario Eight Days A Week di Ron Howard
/ 13.03.2017
di Zeno Gabaglio

«Come molti americani della mia generazione ricordo il momento esatto in cui, a dieci anni, vidi per la prima volta quella nuova band inglese all’Ed Sullivan Show. Mi colpirono perché, a differenza delle band tradizionali sempre guidate da un unico leader, i Beatles sembravano quattro amici che suonavano insieme».

Se oggettivamente si dovesse pensare a un gruppo – o a una realtà musicale – a proposito del quale è ormai già stato detto tutto (e anche più di tutto) questi non possono che essere i Beatles. Continuando il ragionamento ci si dovrebbe poi chiedere: cosa si può raccontare ancora su di loro? Può aver senso rimettere mano agli archivi per cercare di raccontare qualcosa di nuovo? A chi servirebbe un ennesimo film che parlasse della grandezza dei Fab Four?

I passaggi mentali dev’esserseli fatti tutti, Ron Howard, per muoversi dalla genuina fascinazione giovanile riportata in incipit alla vincolante decisione – mezzo secolo più tardi – di dedicare proprio ai Beatles la sua più recente fatica cinematografica, ora disponibile in home video. E la risposta affermativa a tali amletici dubbi si sorregge principalmente su due motivi: la focalizzazione tematica precisa e circoscritta, e le rare disponibilità (archivi, interviste, brani musicali) che si offrono se a muoversi in tal senso è un pluripremiato regista Oscar.

Il documentario Eight Days A Week copre quindi il periodo che va dall’inizio del gennaio 1963 alla fine dell’agosto 1966: tre anni e mezzo durante i quali i Beatles si impegnarono in un tour de force dal calendario semplicemente incredibile: oltre 350 spettacoli in una quindicina di Paesi di cinque continenti, due film lungometraggi realizzati, innumerevoli trasmissioni televisive e radiofoniche, oltre 120 canzoni scritte, registrate e pubblicate in dodici singoli di grande successo e sette album, tutti consecutivamente al primo posto nelle classifiche inglesi.

L’accento, nel film, non viene però tanto posto sull’eroismo dei musicisti, sulla loro irripetibile genialità, sulla capacità di captare le nuove onde socioculturali, sull’importanza storica di ogni loro mossetta di spalle: questo è già stato tutto raccontato e sacralizzato. Il punto messo in discussione da Howard è più umano, quasi antropologico: come hanno fatto quattro ragazzi – per certi versi ancora molto sprovveduti – a sopportare anni di pressione continua e soffocante, senza mai smettere di divertirsi, creare e sostenersi a vicenda? «Per tutta la vita, e in tutta la mia carriera da regista, sono stato affascinato da storie di piccoli gruppi di persone unite da una causa comune o da un comune obiettivo. In Apollo 13 quello che mi interessava raccontare era il dramma di alcuni individui – gli astronauti – chiusi in una capsula, costretti ad affrontare insieme un momento molto difficile». Come si erano organizzati? Come si erano aiutati e come avevano preso le loro decisioni in quelle circostanze eccezionali? «In questa prospettiva non esiste forse una storia vera da raccontare più interessante di quella dei Beatles e della loro straordinaria carriera, una band composta da ragazzi con personalità molto diverse ma sempre uniti, anche nei momenti in cui erano sottoposti ad una grande pressione».

Musicisti come astronauti, quindi. Di sicuro questo a proposito dei Beatles non era mai stato detto. E il titolo del film Eight Days A Week – pur essendo preso a prestito da una hit beatlesiana che parlava di un semplice flirt amoroso – sembra rimandare proprio all’impossibilità di far quadrare tempo, aspettative e scelte esistenziali. Poi si sa che nel 1966 – delusi dalla scarsa qualità dei tour: suono pessimo, folle scatenate, critiche da parte dei media e condizioni generali poco soddisfacenti – i Beatles decisero di non presentarsi più in concerto per chiudersi «semplicemente» in studio a rivoluzionare la popular music. Si sa anche che l’epopea del gruppo terminò nel 1970 – a soli dieci anni dal suo inizio – con strascichi romanzati che han voluto porre in maggior evidenza i dissidi tra i quattro musicisti. Ron Howard in qualche modo prova (e riesce) a mettere ordine, ricordando come i Beatles siano stati il più unito e più coeso gruppo di tutta la storia della creazione musicale.