I cinque fratelli di sangue di Spike

Su Netflix esce Da 5 Bloods, il nuovo atteso «joint» di Spike Lee
/ 22.06.2020
di Nicola Mazzi

L’ultimo «joint» di Spike Lee (così il regista afroamericano chiama i suoi film) è uscito sulla piattaforma Netflix in concomitanza con le rivolte del movimento Black Lives Matter in tutti gli Stati Uniti. Con Da 5 Bloods (Come fratelli) l’autore, pluripremiato per BlacKkKlansman (2018), abbandona i toni della commedia per tornare a quelli drammatici, anche se – come nel precedente – utilizza un evento passato per parlare anche del presente.

Seguiamo la vicenda di quattro veterani che 50 anni dopo ritornano in Vietnam per recuperare le spoglie di un commilitone (il caposquadra «Stormin» Norman) – ma soprattutto i lingotti sepolti durante un combattimento. L’idea è di spartirseli come risarcimento per tutti gli afroamericani morti servendo gli Stati Uniti. In particolare per quel 32% di afroamericani – sul totale dei soldati mandati in Vietnam – che ha combattuto la guerra asiatica (all’epoca gli afroamericani rappresentavano l’11% della popolazione statunitense).

Il film viaggia a due velocità. Nella prima ora il regista costruisce con efficacia le vicende dei 4 «fratelli» sopravvissuti, le loro storie e – grazie ad alcuni flashback girati con una camera 16 mm e in un formato quasi quadrato (4:3) che hanno lo scopo di dare una verità documentaristica alle immagini – quanto successe in quei terribili anni di guerra. Non vediamo solo le azioni di belliche dei nostri eroi, ma anche frammenti di repertorio: dai discorsi di Martin Luther King a quelli di Muhammad Ali, passando per i ricordi di altri personaggi, più o meno conosciuti, come l’attivista Bobby Seale, l’atleta Edwin C. Moses e Milton L. Olive III, morto in Vietnam da eroe.

Anche le meravigliose musiche, che come sempre Spike Lee attinge con sapienza dalla cultura black, contribuiscono a immergerci in quell’atmosfera. Senza dimenticare la prova recitativa di Delroy Lindo (forse un poco eccessiva, seppur da molti indicato come un possibile Oscar), dei suoi colleghi e di due francesi (i bianchi): il redivivo Jean Reno e Mélanie Thierry.

Nella seconda parte, invece, la ricerca del corpo e dell’oro prende il sopravvento. Spike Lee si diverte, noi forse un poco meno, nel citare Il tesoro della Sierra Madre di John Huston e Apocalypse Now di Frances Ford Coppola, mischiandoli a scene crude e a sparatorie degne di un western di Sam Peckinpah, in mezzo alla giungla vietnamita. E il legame di sangue (come da titolo) tra i 4 «fratelli» vacilla. Ma vacilla anche la trama, perché se all’inizio era ben congeniata e invogliava a scoprire il passato dei protagonisti, nella seconda parte lascia troppo spazio all’azione e ad alcune scene scontate.

Qualche volta, e anche questo è il caso, Spike Lee esagera nel voler sviscerare, da ogni punto di vista possibile, i problemi razziali dei neri. L’impressione è quella di una centrifuga colorata e molto saporita che dopo qualche bicchiere diventa stucchevole e che ci allontana in modo netto da quell’opera essenziale, chiara e limpida che è stata Fai la cosa giusta.

Tuttavia Lee ha avuto la fortuna e il merito di realizzare il nuovo film in concomitanza con le proteste nelle città americane. E quindi, quando lo guardiamo non possiamo non pensare al ginocchio mortale su George Floyd e alle sue conseguenze, così il tutto prende anche un altro significato.