I cari topini

Torna in nuova edizione la raccolta completa delle poesie dedicate ad animali, luoghi e bambini del pittore, scenografo e naturalmente poeta romano Toti Scialoja
/ 18.09.2017
di Stefano Vassere

«Quelle luminose poesiole Scialoja le raccolse in un libro in marocchino rosso fatto tutto a mano, che regalò ai tre nipotini. “Il libro girava tra amici”, raccontò, finì tra le mani di Ugo Mulas, che si appassionò della struggenza dei versi e cercò di farli pubblicare, invano. Finché Emanuela Bompiani decise di stamparlo». 

Prima di scrivere poesie con continuità e sistema, Toti Scialoja fu – lo sappiamo tutti – un pittore astrattista di qualità e di fama. Fama che era di sicuro abbondante all’inizio degli anni Sessanta, quando divenne appunto anche un poeta. Sembra che fosse stata proprio questa migrazione da un’arte all’altra a generare più di uno scetticismo tra i suoi contemporanei, soprattutto nella sua nuova casa artistica: un pittore che diventa poeta, e che lo diventa in quel modo così giocoso e prestato all’infanzia, sembra un’artista che per distrarsi e per non annoiarsi si avventuri momentaneamente in trasferta, certo senza intenzione di investirvi troppo, con il progetto di tornare al più presto all’arte. Un poeta minore, per bambini, un mezzo poeta, insomma. Vennero poi benedizioni importanti, Giovanni Raboni, Italo Calvino, Giorgio Manganelli, Antonio Arbasino, e vennero anche riconoscimenti allo Scialoja poeta e basta, accanto a quelli conferiti al poeta giocoliere, abito nel quale tutti noi oggi lo ricordiamo. Sia chiaro che quei giochi non erano né banali né limitativi, costruiti com’erano per piacere, tra l’altro, anche ai bambini. I bambini, dice il Poeta, intendono subito il gioco, d’istinto, perché sono liberati dalla soggezione del linguaggio.

Ora, alla svolta artistica iniziale, al riconoscimento di una capacità poetica in sé e a quello di una poesia supremamente infantile, rende giustizia anche la nuova edizione dei Versi del senso perso, appena pubblicati con la prefazione di Paolo Mauri, la postfazione di Orietta Bonifazi, le note all’edizione del 1989 con tra l’altro tutti quegli omaggi illustri. «Calma la talpa sotto il chiar di luna / palpa le sue patate ad una ad una»; «Un topo a Como per trovarsi comodo / si accoccolò dentro un comò di mogano, / chi lo volle ammirare a baffi eretti / dovette spalancare otto cassetti». Le poesie, anche quelle note e immediate come queste, traggono grande giovamento da un apparato adatto. Può essere utile e certo è gratificante sapere qui che la raccolta Quando la talpa vuol ballare il tango del 1997, oltre ad essere tutta illustrata da Scialoja stesso, portava un indice degli animali: poche api e anguille, una sola allodola, un’anatra, un assiolo, molti cani (generici, ma anche bassotti, bracchi, levrieri), quattordici gatti, «c’è un gallo, ma non una gallina, c’è una mucca, ma non un maiale», una decina di lepri. «La lepre ha il più crudele dei musi quando morde» (come «aprile – dice tra l’altro Eliot – è il più crudele dei mesi»; e la lepre di Scialoja «strappa i fiori d’aprile», proprio quelli).

La poesia essenziale e primordiale, quella cui sembra richiamarsi Scialoja, doveva essere costruita con quello che si «aveva lì»: artifici condotti sui nomi di animali o geometrie basate sull’opacità dei nomi propri, i nomi di luogo e quelli geografici in particolare, dove è il solo suono, il rumore della parola a costruire evocazioni e immagini. «A Sciaffusa» (è proprio lei: Schaffhausen; ci sono anche il pollo sul pullman per Baden, i mille bachi a Basilea, e gite a zig zag sul lago di Zug), «a Sciaffusa si è diffusa / la notizia / che le gatte fan le fusa / per malizia». I bambini, quelli sul punto di lasciare questo stato (diciamo, sugli undici anni circa), apprezzano, e ogni tanto trovano qualcosa che sembra meno adatto a loro; e così crescono, anche con la poesia. «Quando fa bruno, quando fa scuro, / c’è una lepre che batte il tamburo, / batte e batte così dolcemente / che nel prato nessuno la sente /salvo un orlo di primule spente».

Bibliografia
Toti Scialoja, Verso del senso perso, Einaudi, Torino, 2017.