I capelli di Ludwig van

Il 16 dicembre di 250 anni or sono nasceva a Bonn il grande compositore Ludwig van Beethoven, morto 57 anni più tardi a Vienna
/ 16.11.2020
di Giovanni Gavazzeni

Nel pomeriggio del 26 marzo 1827 un violento temporale scatenò sulla città di Vienna tuoni, fulmini, grandine e nevischio. Nel suo ultimo appartamento nella Casa degli spagnoli neri, Ludwig van Beethoven rendeva l’anima. Alcuni commentatori interpretarono l’evento atmosferico come «una ribellione alla morte di tale eccelso spirito». Non fu un’esagerazione romantica: quella tempesta occorse, come confermano gli archivi metereologici della capitale asburgica.

La liturgia della morte, delle esequie e della sepoltura di Beethoven sono oggetto della ricerca erudita di Artemio Focher (Ludwig van Beethoven – 26-29 marzo 1827, Lim, pp. 206), che documenta l’atto di nascita del mito-Beethoven. Incrociando documenti e testimonianze, si rivelano veritieri passi biografici, come quello ricordato da Anselm Hüttenbrenner, compositore amico di Schubert, presente al trapasso, che ricordava il morente agitare il pugno in sfida verso il cielo (una reazione compatibile con la devastante cirrosi epatica e le comorbilità, come usa dire in tempi pandemici, che affliggevano il grande artista). Lo stesso Hüttenbrenner, dopo aver chiuso gli occhi al morto, chiese alla cognata di Beethoven di tagliargli una ciocca di capelli «sacra memoria dell’ultima ora di Beethoven». Non fu il solo.

Ci vorrebbe la penna di Gogol’ per descrivere cosa successe ai capelli di Beethoven, rimasto praticamente calvo alla sepoltura. Sparsa la notizia della morte, amici, ammiratori e curiosi si riversarono a rendere omaggio alla salma, alcuni recidendo con le proprie mani, altri chiedendo il consenso ai familiari o al famulo Schindler, per avere le ciocche-reliquie e farne dono agli amici più cari. Un musicista famoso, Ferdinand Hiller, li lasciò in eredità al figlio. Quei capelli furono battuti all’asta nel 1994 da Sotheby’s e ora sono conservati al centro beethoveniano di studi presso l’Università di San José in California. Furono utili per analisi del dna di Beethoven che esclusero trattamenti palliativi oppiacei sul moribondo, ma confermarono la letale presenza del piombo.

Le tre corone del classicismo musicale ebbero esequie differenti a Vienna: Mozart fu gettato in una fosse comune; Haydn, causa l’assedio dei francesi, fu seguito da poche persone; per Beethoven i funerali furono imponenti, come non se ne vedevano da tempo: ventimila persone e centinaia di carrozze al seguito del feretro, l’orazione funebre stilata dal gran poeta Franz Grillparzer, e recitata fuori dal cimitero per burocratica opposizione curiale; i nudi Equali per ottoni trascritti per coro sulle parole del Miserere, due messe a suffragio con l’esecuzione del Requiem di Mozart (al quale diedero lustro volontario i cantanti dell’opera italiana) e di quello per voci miste di Cherubini.

Non stupisce nel racconto dei tre giorni in cui una capitale si fermò in rispettoso omaggio, l’avidità del fratello Johann che mette a soqquadro la casa alla ricerca di otto lucrosi titoli di stato, né l’assenza del prediletto nipote Karl, l’erede universale, a cui quei titoli finirono, né le sterili polemiche giornalistiche contro un generoso invio di denaro inglese al malato (giunto post mortem), raccolto dal pianista Ignaz Moscheles, premiato, nemmeno a dirlo, con una ciocca taumaturgica di capelli.

Anche alla luce delle analisi più rigorose, già al momento della morte, si comprese che un Uomo straordinario era entrato nell’immortalità.

Scrisse Grillparzer, invitando al raccoglimento davanti alla tomba: «per questo sono sempre esistiti poeti ed eroi, cantori e illuminati di Dio: che verso di loro si volgano i miseri mortali in rovina, memori della loro origine, e della loro meta».