Chi era Francisco José de Goya y Lucientes? Sicuramente uno dei massimi pittori spagnoli, ma anche uno dei più enigmatici. In occasione dei 275 anni dalla nascita la Fondazione Beyeler di Basilea gli dedica una splendida monografica in collaborazione con il Museo Nacional del Prado di Madrid dove l’artista è ovviamente il più rappresentato all’interno della collezione con centocinquanta dipinti e cinquecento disegni, senza contare le incisioni. A Basilea sono esposti settanta dipinti, più di cento disegni e incisioni provenienti da importanti musei quali il Louvre, gli Uffizi, il Thyssen-Bornemisza…
Ma chi era Goya? Difficile dirlo. Nasce in un villaggio aragonese nel 1746 figlio di un maestro doratore. Poco più che un artigiano. Fino al 1774, anno del trasferimento a Madrid, vive in una realtà popolare molto povera. Probabilmente è stato chiamato a Madrid da Francisco Bayeu, fratello della sua sposa Josefa. Qui si inserisce a fatica nel mondo altolocato diviso fra l’aristocrazia dei nobili e gli illuministi del governo che seguono il gusto dei francesi. Il popolo vive di slancio, d’impulso, mentre gli illuministi secondo i precetti rigorosi di un’idea. Goya si trova tra questa dicotomia: l’istinto popolare da una parte e il rigore dall’altra. In quel periodo in Spagna i pittori erano considerati poco più che mestieranti e in effetti la maggior parte di loro lo era. Pochissimi quelli considerati artisti come El Greco o Velázquez. Nei secoli precedenti, al contrario, erano trattati come dei principi, pensiamo a Salvatore Rosa o a Rubens.
In ogni caso nel 1786 Goya viene nominato pittore regio e nel 1799 primo pittore di corte. In questo lasso di tempo perde l’udito. Nel 1808 la Spagna viene invasa dai Francesi. Goya segue con interesse questa ondata illuminista. Il 4 dicembre sale al trono Giuseppe Bonaparte e Goya figura nell’elenco di quelli che gli giurano «amor y fidelidad». Farà poi ammenda soprattutto con il famoso dipinto dei fucilati alla montagna del principe Pio del 1814.
Secondo José Ortega y Gasset, Goya si sente un pittore di mestiere e non era un buon mestierante. Ma un «genio deforme che si aggira trascinandosi, tutto rattrappito, e che riesce a spiccare i più agili balzi verso le vette dell’arte proprio facendo leva sulle sue manchevolezze».
Osserviamo qual è la percezione di sé stesso nel tempo attraverso gli autoritratti in mostra. In quello del 1780 ha un bottone della giacca slacciato e la pittura tutto chiaroscuro è ancora imitazione di Anton Raphael Mengs che aveva lasciato a Madrid la sua impronta neoclassica. Nel ritratto della famiglia di Don Luis de Borbon del 1783-4 al centro della scena troviamo l’infante Maria Teresa de Vallabriga; in basso a sinistra e in ombra l’artista è intento al cavalletto. Andreas Beyer, nel catalogo dell’esposizione, spiega che per questo si mette in una posizione di inferiorità. Nell’autoritratto del 1790-95 è in piedi mentre dipinge al cavalletto guardandosi allo specchio alla maniera di Rembrandt. Sulla testa ha un cappello con delle candele per dipingere anche al buio. Alle spalle una grande finestra che illumina la scena. Goya è in ombra, quindi. La giacca è particolarmente elegante, come le scarpe. L’anno prima è stato nominato pittore di corte.
Nel 1789 inizia la serie di incisioni dei Capricci pubblicati nel 1797. Nel primo sul frontespizio c’è un autoritratto. È di profilo come i liberi pensatori francesi, ma sembra di cattivo umore o addirittura triste. Nella stampa 43 intitolata El sueño de la razón produce monstruos a parte l’ambiguità del titolo che gioca fra «sognare» e «dormire», l’immagine è un autoritratto che lo mostra malinconico fra terrore e tormenti. Nel 1815 si ritrae pensieroso dopo l’invasione delle truppe inglesi e la chiamata davanti all’inquisizione con l’accusa di oscenità per la Maja desnuda. Infine l’ultimo autoritratto in mostra del 1820 sembra un’immagine votiva a ringraziamento del dottor Arrieta che lo ha curato e guarito. Qui siamo di fronte al modello classico della Pietà.
L’anno precedente ha acquistato alla periferia di Madrid la Quinta del sordo dove decora le stanze con le famose Pinturas negras.
Insomma Goya ha una personalità complessa derivante dalla scissione fra il suo modello di riferimento popolano da una parte e quello altolocato della cultura dall’altra. I suoi lavori procedono così lentamente e inesorabilmente verso quelle ambiguità e quelle mostruosità che lo hanno reso tanto famoso ai giorni nostri. Anche perché, come ha ben precisato Giulio Carlo Argan, l’artista deve essere un testimone del proprio tempo e per essere del proprio tempo «deve essere contro il proprio tempo: per questo Goya, in un’Europa già tutta neoclassica sembra una mostruosa eccezione».
L’esposizione basilese si snoda cronologicamente offrendo grandi capolavori accanto a lavori inquietanti come El aquelarre (Sabba) o Vuelo de brujas (Volo delle streghe) ambedue del 1797, tratti da una serie di otto dipinti sulla stregoneria realizzati per la duchessa di Osuna nella residenza campestre dell’Alameda. Da vedere i dipinti della Collection Marqués de la Romana di Madrid con scene orrorifiche come il bandito che spoglia una donna e quello seguente… che lascio immaginare. Poi i due dipinti delle Majas al balcone; soprattutto quello della collezione privata svizzera (simile a quello del Metropolitan Museum di New York) tanto seducenti quanto misteriosi. Quest’ultimo preso a modello da Manet per il suo Le Balcon due secoli dopo.
Per terminare l’ultima sala è dedicata, tra l’altro, a 19 incisioni tratte dal ciclo dei Desastres de la guerra (Disastri della guerra) del 1814-15. La versione definitiva secondo Goya - e consegnata per le correzioni dei testi e dei numeri a Juan Agustín Celán Bermúdez - consiste in 85 stampe. Un’ulteriore serie di 82 stampe fu donata da Goya nel 1824 al nonno dell’incisore Pedro Gil Moreno de Mora. La terza e ultima serie comprende 71 stampe. Gli 82 rami, che ora si trovano alla Calcografia Nacional di Madrid, non furono tirati che successivamente in diverse occasioni e nel 1865 furono acciaiate perché in cattive condizioni.
Guardatele! Sono sorprendentemente attuali. Non vi sembra di essere in Afghanistan o in Norvegia dove un mattoide ha ucciso con arco e frecce 5 passanti?