(Keystone)

Gli intellettuali Hesse e Zweig amici per la pace

Un convegno nella Sala Boccadoro a Montagnola ne ha ricordato il sodalizio di spirito e di penna, l’attualità delle idee
/ 30.05.2022
di Natascha Fioretti

«Guardando indietro negli anni avverto anch’io uno strano avanzare insieme in lontananza. Non è un caso che entrambi abbiamo iniziato il nostro percorso 20 anni fa, che alle domande cruciali sulla guerra abbiamo trovato risposta in Romain Rolland… un destino comune aleggia su di noi e si manifesta in certe segrete affinità che mi fanno amare in modo inaudito un’opera come Klingsor».

Scrive così Stefan Zweig al suo amico Hermann Hesse il 13 dicembre del 1922. L’inizio del sodalizio fu la lettera di Hesse del 1903 in cui l’allora assistente della Libreria Reich a Basilea scrisse allo studente viennese, traduttore di poesie di Paul Verlaine inviandogli un suo volumetto di poesie e implorandolo della sua amicizia. Ascetico, schivo e riservato il primo, disinvolto e socievole il secondo, figure fondamentali della letteratura del Novecento, Hesse e Zweig sono stati al centro di un Convegno tenutosi dal 19 al 22 maggio. Germanisti e letterati di grande spessore coinvolti dagli organizzatori Regina Bucher (Fondazione Hesse di Montagnola) e Arturo Larcati (direttore del Stefan Zweig Zentrum di Salisburgo), hanno messo a fuoco il concetto di giustizia dei due scrittori (Roberto Cazzola), la natura della loro profonda amicizia (Volker Michels), l’amore per l’Italia e per il viaggio (Hermann Dorowin), la ricerca dell’identità spirituale (Karl-Josef Kuschel) e la loro idea di pacifismo (Stéphane Pesnel). Quest’ultimo intimamente legato al cosmopolitismo e all’europeismo di Zweig e di Hesse ci è sembrato quello più attuale – seppur quando si parla di Weltliteratur tutto perdura e permane.

Intellettuali, espressione della borghesia colta germanofona, quando scoppia la Prima guerra mondiale Hesse e Zweig sono mossi da un forte spirito patriottico «l’evoluzione dei due è molto interessante – spiega Pesnel – Hesse vive in Svizzera da due anni ed evolve più rapidamente di Zweig. Mosso da spirito di lealtà verso il suo Paese come tanti altri intellettuali vuole arruolarsi; si reca al Consolato a Berna ma lo respingono per la sua miopia. Finisce per dirigere un’organizzazione per i prigionieri di guerra tedeschi in Francia e Inghilterra per i quali prepara e invia dei pacchi di libri. In questo periodo comprende l’importante ruolo della letteratura e si allontana dal sentimento patriottico della prima ora. In Zweig invece l’idea pacifista matura più lentamente. Quando scoppia il conflitto si trova a Ostende, torna subito in Austria e scrive una lettera aperta in cui si distanzia da scrittori e colleghi inglesi e francesi (Lettera agli amici in terra straniera). Interrompe ogni dialogo con loro; per lui, dice, è arrivato il momento del silenzio. Evidentemente non è ancora l’umanista che sarà dopo la Prima guerra mondiale e negli anni 30 quando scriverà le biografie su Erasmo da Rotterdam e Castellio».

Zweig scopre il suo spirito pacifista nel 1915 e questo – come ci spiega il professore della Sorbona – per tre motivi. «Romain Rolland critica subito il suo testo, gli dice che deve cambiare atteggiamento e lo inizia al pensiero pacifista. Pensiero che Zweig approfondisce attraverso la lettura dei testi di Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace, in particolare rimane affascinato dalla loro forza espressiva. Decisiva, infine, è l’esperienza in Galizia, nei dintorni di Leopoli, quel territorio che Joseph Roth definì “il grande campo di battaglia” dell’Europa». Inviato dall’archivio di guerra di Vienna per il quale scrive testi di propaganda, Zweig si imbatte per la prima volta in soldati feriti e mutilati, sente l’odore del sangue e dei farmaci, il puzzo dei cadaveri. Vede con i propri occhi il paesaggio distrutto e ne rimane sconvolto. Legge Über dem Schlachtgetümmel (Al di sopra della mischia) di Romain Rolland, una raccolta di articoli in cui il premio Nobel per la letteratura si appella agli artisti, agli intellettuali e agli scrittori perché siano al di sopra della guerra e non si lascino contaminare dall’ideologia nazionalista e sciovinista. Li esorta a mantenere uno sguardo sempre alto, a contribuire allo sviluppo del senso dell’umanità. «Rileggendo il carteggio tra Hesse e Zweig si evince come il ruolo di Rolland sia stato fondamentale nella formazione pacifista dei due» dice Pesnel. Ne è un esempio la lettera di Zweig a Hesse del 9 novembre 1915 «Carissimo Signor Hesse, (…) sento il bisogno di esprimerle la mia riconoscenza. Sin dai primi giorni della guerra sono rimasto colpito dal suo atteggiamento umano e poetico, ogni sua parola, nel mezzo di tante altre che mi hanno ferito, mi ha profondamente commosso. Poi mi ha raggiunto la lettera del mio amico Rolland, con il quale anche lei è diventato intimo, e di nuovo ho avuto un sussulto di felicità».

Nel 1922 quando pubblica Siddharta, Hesse diviene il propagatore di una nuova concezione pacifista e individualista. Durante il Secondo conflitto mondiale resterà a Montagnola, Zweig invece nel 34 lascia la sua favolosa residenza salisburghese sul Kapuzinerberg e va in esilio in Inghilterra dove resterà fino al 1940. In seguito, con la seconda moglie Lotte Altman, andrà a vivere prima a New York e poi a Petrópolis in Brasile.

A questo punto Zweig è un Weltautor di successo sempre in movimento tra conferenze e apparizioni pubbliche, lontano dall’Europa eppure attento al suo destino, a quello di famigliari e amici. Come racconta il volume uscito per Castelvecchi che raccoglie il carteggio inedito dell’ultimo periodo (dal 7 luglio del 40 al 21 febbraio del 42) di Zweig e Lotte con gli amici amici Hannah e Manfred, lo scrittore cosmopolita che credeva nella riunificazione intellettuale dell’Europa fu molto generoso nel sostenere le comunità ebraiche e nell’aiutare scrittori in esilio in lotta per la loro sopravvivenza. Gli furono però mosse diverse critiche. Hannah Arendt lo definì «un letterato ebreo borghese che non si era mai occupato degli affari della sua gente». Altri dissero che non sfruttava abbastanza la sua notorietà per promuovere la causa antinazista, altri ancora definirono ingenuo il suo pacifismo. Le sue origini borghesi e la sua condizione di esiliato benestante con passaporto britannico forse non gli permettevano di comprendere fino in fondo quella precarietà economica ed esistenziale che attanagliava autori come Roth e Benjamin. A questo proposito Stéphane Pesnel chiama in causa «la fiducia di Zweig nel potere della letteratura, la sua convinzione ereditata dall’Illuminismo di poter educare l’uomo attraverso la letteratura. Si pensi solo alle grandi biografie dedicate agli umanisti Erasmo da Rotterdam e Sebastian Castellio. Nella prima Zweig critica il Terzo Reich, nella seconda attacca le dittature fasciste e nazionalsocialiste. Queste opere sono per lui lo specchio in cui riflettere e mettere a nudo la propria epoca. Anche il suo amico Joseph Roth lo critica, gli rimprovera di essere un irenista, di pensare che si debba mantenere la pace a ogni costo, di essere troppo passivo». Di certo anche l’immagine idilliaca del Brasile dipinto nelle sue lettere come «meraviglioso dal mattino alla sera» denota un certo distacco, soprattutto politico e sociale, dalla realtà. Ma nutriva una fiducia incondizionata nella letteratura e nell’umanità: «Nessuna idea è una verità intera, ma ogni essere umano è un’intera verità» scrisse durante la Prima guerra mondiale.

Credeva fortemente nell’amicizia, quella che Rolland definì «la sua religione» vedendovi quello spirito di mediazione sovranazionale e costruttivo comune a tutti gli scritti di Zweig. Cosmopolita, esiliato senza patria, viaggiatore instancabile (Hesse lo chiamava il «salisburghese volante»), morto suicida nel 42, Zweig sognava un’Europa unita, libera e senza passaporto. Le cose sono andate un po’ diversamente. «Prima della Grande Guerra i grandi borghesi come Zweig o Rilke erano abituati a viaggiare senza passaporto. C’è stata questa speranza con Schengen ma ora gli scenari sono nuovamente cambiati».

Zweig diceva che gli scrittori avrebbero documentato quanto accaduto, abdicato ai romanzi per raccontare la realtà della guerra come un qualcosa che non si sarebbe mai più ripetuto: «lo stesso discorso si era fatto negli anni 20, tante furono le testimonianze, i romanzi pubblicati e invece è successo quello che successo. C’è stato anche il periodo in cui abbiamo sognato la Società delle nazioni. Il pacifismo di Zweig – conclude Pesnel – non è un pacifismo teorico, è un pacifismo emozionale e spirituale».

Bibliografia

Stefan e Lotte Zweig. La vita stessa è già tanto in questi giorni. Ultime lettere dall’esilio americano, Castelvecchi Editore, Roma, 2022