Una sessantina di eventi: danza, teatro, musica, circo o ancora performing art, per diciotto giorni hanno trasformato Ginevra in capitale incontrastata delle arti sceniche. Atipico, ecco l’aggettivo che si addice di più a questa 46esima edizione all’insegna della rinascita, una rinascita post pandemica ma anche un grido di rivolta nei confronti di un conformismo che si sta pericolosamente impossessando del nostro quotidiano. Il pubblico è stato interpellato, scosso e risvegliato dal proprio torpore grazie a proposte sceniche che hanno affrontato problematiche legate all’inclusività, al razzismo, alla discriminazione o più in generale all’intolleranza nei confronti di una diversità vista con pericoloso sospetto.
Tra le proposte più sorprendenti Encantado della coreografa brasiliana Lia Rodrigues, uno spettacolo di denuncia delle violenze di un governo che sacrifica tutto e tutti in nome del profitto, un governo guidato da una smania di potere che non considera le tradizioni ancestrali, cuore e anima dell’identità brasiliana. Da quarant’anni esponente di spicco della danza militante in Brasile, Lia Rodrigues utilizza la scena come gioiosa arma di resistenza. Ispirato a testi impegnati quali Torto Arado di Itam Vieira e Per un’ecologia decoloniale di Malcom Ferdinand, Encantado mette in scena i corpi di undici interpreti avviluppati in tessuti colorati che li fanno apparire come misteriose crisalidi, entità mistiche della cosmogonia dei popoli indigeni del Brasile. La musica, composta da estratti di canzoni del popolo Mbyà Guaranì, regala all’insieme uno strato di supplementare misticismo.
Anche la giovane coreografa olandese Cherish Menzo con il suo Darkmatter ha fatto tremare la scena della salle du Lignon. Accompagnata da Camilo Mejía Cortés, Menzo decostruisce gli stereotipi legati alla colonizzazione del corpo, all’origine etnica e al genere. Attraverso la rappresentazione di una materia nera che si impadronisce gradatamente della scena, come un fiume in piena, indomito e potente, Menzo fa sbocciare un nuovo enigmatico corpo (afro)futurista. Con Hmadcha il coreografo marocchino Taoufiq Izeddiou mette in scena dei corpi potenti e ribelli, intrisi di misticismo ancestrale ma anche connessi con una modernità che affrontano di petto.
Controcorrente ed esteticamente potenti anche Lullaby for Scavengers del britannico Kim Noble e The Sheep Song del collettivo belga FC Bergman. Con la terza e ultima parte del suo trittico sulla solitudine e l’amicizia, Kim Noble ci conduce per mano nella foresta ostile della vita. Lullaby for Scavengers esalta la natura senza romanticizzarla, la sublima senza trasformarla in sterile locus amoenus. Un misto di provocazione, di comicità surrealista e di fantasia bizzarra so British da travolgere il pubblico come un uragano. The Sheep Song, favola senza parole in quattro atti propone anche lei, attraverso scene di una bellezza inaudita, un’allegoria della condizione umana che ci fa riflettere su concetti chiave quali l’amore, la violenza, il dolore o la solitudine. Con la stessa vena rivoluzionaria, impossibile non citare anche Graces della strabiliante coreografa italiana Silvia Gribaudi o ancora The Shadow Whose Prey the Hunter Becomes della compagnia australiana Back to Back Theatre composta da attori con disabilità fisiche o neurodivergenti.
La Bâtie è riuscita anche quest’anno a toccare il pubblico nel profondo, uno shock benevolo che spinge a riflettere sul mondo che ci circonda con rinnovata criticità.