Garçon chiffon, Nicolas Maury in tutto il suo splendore

Cinema - L’ascesa inarrestabile e atipica di un attore francese fuori da ogni schema
/ 02.08.2021
di Giorgia Del Don

Conosciuto dai più come Hervé, personaggio emblematico della seguitissima serie francese Dix pour cent (Chiami il mio agente) le cui quattro stagioni (il seguito è stato confermato ma ancora non è chiaro se sotto forma di quinta stagione o di episodio lungo) sono disponibili su Netflix, Nicolas Maury, che ha da poco superato la soglia dei quarant’anni, può già vantare una carriera invidiabile in quanto attore di cinema e teatro. Il suo percorso artistico è iniziato col botto a diciassette anni quando è stato scelto da Patrice Chéreau per il suo film Ceux qui m’aiment prendront le train ed è proseguita sotto la guida di registi importanti quali Philippe Garrel, Olivier Assayas, Noémie Lvovsky, Rebecca Zlotowsky, Valeria Bruni Tedeschi, Yann Gonzalez, Eva Ionesco e tanti altri. Registi, ma soprattutto molte registe, intransigenti e con una visione estremamente personale del cinema, che hanno percepito in lui una sensibilità rara.

Carnagione diafana, sguardo malizioso e una capacità innata di coniugare gentilezza e risolutezza, l’attore francese continua a stupire proponendo personaggi sempre nuovi ai quali infonde un mistero che li rende pressoché eterei. A metà strada fra un Marcel Marceau e un Alain Delon versione Il cerchio rosso, Nicolas Maury sfugge a ogni categorizzazione, una qualità che non ha sempre giocato in suo favore, trasformandolo spesso nell’attore che non si sa bene dove piazzare: troppo sincero, troppo appariscente, troppo a fior di pelle, sempre «troppo». Eppure, invece di cercare di «smussare gli angoli» di una personalità atipica, Maury l’ha trasformata in forza, si è lasciato (coscientemente) sfuggire dei ruoli prendendosi il tempo per far maturare l’attore che ha sempre voluto essere: sincero e coerente con sé stesso, l’esempio di un uomo nuovo, fragile e libero di esplorare ogni sfaccettatura del proprio io (anche, o meglio soprattutto, quelle che la mascolinità egemonica sembra precludergli).

Non è quindi un caso se i suoi «modelli» cinematografici sono costituiti da attrici: Isabelle Adjani in L’été meurtrier, Charlotte Gainsbourg in L’effrontée ma soprattutto Vanessa Paradis, sua musa sin dall’infanzia, con cui ha lavorato nell’esplosivo Un couteau dans le coeur di Yann Gonzalez e Nathalie Baye, la sua «mamma del cinema», apparsa in Dix pour cent e nel suo primo lungometraggio Garçon chiffon. Più recentemente è con la collega Laure Calamy, indimenticabile in una scena breve ma intensissima del suo primo film, che ha stretto un legame definito da lui stesso come fusionale, un colpo di fulmine platonico che si manifesta una sola volta nella vita.

Apertamente omosessuale, modello per molti ragazzi alla ricerca di esempi alternativi di mascolinità che si scostino da quello dominante dell’uomo bianco, eterosessuale e benestante, Nicolas Maury non esita a utilizzare tutte le pieghe della sua personalità per andare a cercare ispirazione ovunque lo ritenga opportuno, senza porsi barriere di genere, sesso o altro. Un’ecletticità in linea con le sue fonti d’ispirazione che spaziano dall’introspezione dei film orientali alla sincerità senza concessioni dei film di Amos Kollek. Un bouquet meraviglioso di riferimenti che, associati a una personalità atipica, e non solo per il cinema francese, ha dato vita al suo primo lungometraggio: Garçon chiffon, un film sulla gelosia e sui rapporti che istauriamo con gli altri. Il film mette in scena un attore trentenne (interpretato dallo stesso Maury) alla ricerca delle cause del malessere che lo spinge a tormentare senza sosta il suo compagno.

Stravagante ma mai in modo gratuito, Garçon chiffon è un film delicato capitanato da un antieroe che ci ipnotizza malgrado il fastidioso eccesso di gelosia che porta con sé come una valigia troppo pesante. Garçon chiffon sfugge alla dittatura dei generi cinematografici (ma non solo) mischiando allegramente il romanzo di formazione, la commedia classica e il musical (la musica è talmente importante nel film da diventare vero e proprio personaggio). Un’eterogeneità che rappresenta perfettamente l’attore e regista francese deciso a giocare con le convenzioni per creare un cinema che non assomiglia a nessun altro, un cinema personale che può definire davvero come suo.

«È il ritratto di un ragazzo dei giorni nostri, che va avanti e che potremmo forse definire come un soldato della fragilità» dice Maury parlando del suo film. Una descrizione molto bella di un personaggio complesso e sincero con il quale tutti noi possiamo identificarci perché la fragilità che lo abita, e che abita tutti noi, non ha barriere e permettergli di esprimersi è una catarsi della quale nessuno dovrebbe privarsi.

Un primo lungometraggio inebriante da gustare senza moderazione.