«Funziona» il nuovo album di Kaso

Il rapper varesino ci parla del suo nuovo lavoro, in cui il rap dialoga con jazz, funk, soul e gospel
/ 29.06.2020
di Sebastiano Caroni

Non è certo un caso se il nuovo album di Kaso funziona. Di nome e di fatto. Basta sentire come suona, è una questione di tatto. Il rap si affida a un linguaggio diretto, a rime e giochi di parole per dare immediatezza al proprio messaggio. Un po’ come ho fatto io, avvalendomi delle rime caso/Kaso e fatto/tatto per presentare il nuovo album di Kaso: nove tracce che omaggiano il rap classico con un approccio moderno. Il rapper di Varese, attivo dagli anni 90, è noto anche in Ticino per le sue collaborazioni con Maxi B e la partecipazione al programma musicale RSI S-quot Showtime. Dopo l’album solista Oro giallo (2005), un’esperienza con un gruppo funk nel 2011, e vari featuring, Kaso è tornato più in forma che mai con Funziona, il suo secondo album da solista. Un lavoro che ha voluto raccontare ai lettori di «Azione».

Il primo brano del nuovo album si intitola Niente da dire. È un pezzo autobiografico, in cui parli dei motivi che ti hanno tenuto lontano dalla scena per qualche tempo. Questo è il ritornello: «ho fatto tutto quello che dovevo e non avevo più niente da dire». Poi, però, da questo silenzio sei riemerso, mettendo assieme il nuovo album. È stato difficile rimettersi in gioco dopo la «pausa»?
Ciao lettrici e lettori di «Azione». La prerogativa della scrittura rap è avere qualcosa da dire, sentire quell’urgenza di comunicare qualcosa. Almeno per me, altrimenti è meglio stare in silenzio. Nella cultura hip hop, infatti, non esistono interpreti di testi altrui, o se ci sono, sono decisamente in minoranza. Quindi con il rap non si bara perché l’ascoltatore si accorge quando un testo è figlio di una forzatura o eccessivamente costruito. Ma anche durante questo periodo di pausa come autore, sono sempre rimasto dietro le quinte della scena. Ho partecipato per tre anni al programma musicale della RSI S-quot Showtime, collaborato con altri rapper e suonato le tastiere in un gruppo funky. Bisogna tenersi allenati.

Il tuo album è un nuovo inizio ma anche, musicalmente, una conferma di alcuni punti fermi. Penso in particolare a Maxi B, artista e speaker radiofonico molto noto in Ticino, con cui hai più volte collaborato a partire dalla fine degli anni 90 a metà del 2000 e che, nel nuovo album, torna ad accompagnarti.
Con Maxi mi sono sempre tenuto in contatto, abbiamo realizzato due album ufficiali, poi ho partecipato ad alcune sue canzoni, sia come rapper sia come compositore musicale, e suonato nel suo gruppo nelle occasioni in cui si esibiva con la band. Ci conosciamo dalla fine degli anni 90, periodo in cui la musica rap creava un senso di appartenenza e di comunità molto forte e spingeva entrambi, e molti altri nostri coetanei, a muoversi al di là dei confini per collaborare e cercare la musica che ci univa. Eravamo in un’era pre-internet, e questo significava curare molto lo sviluppo delle relazioni personali. Sono stato ospite nei primi programmi di Maxi, quando ha iniziato l’avventura radiofonica nella radio guidata da Matteo Pelli, e sono contento della sua nuova veste di intrattenitore a 360 gradi. In fondo, però, rimaniamo comunque due ragazzini innamorati del rap.

Veniamo alla title track Funziona. Il video mostra un banchetto elegante in cui gli invitati ignorano la vita reale per rifugiarsi nel mondo virtuale, schiavi dei loro telefonini. Il ritornello afferma: «non c’è cosa né giusta né buona, ma che funziona». Ci aiuti a capire il senso di questa frase?
Certamente; siamo tutti immersi in un mondo pieno di tecnologie. Non sono avverso al progresso e alle evidenti comodità che ne derivano, ma se il mondo della tecnica è apparentemente neutro, quello di cui «rappo» mostra un chiaro cambiamento di attitudine. Noto che, sempre di più, solo se una cosa funziona ha per noi significato, mentre il senso etico di ciò che è giusto o sbagliato si sta lentamente perdendo, purtroppo.

Per te l’opposizione fra reale e virtuale è legata anche a quella fra «real» e «fake» che, storicamente, il rap ha sempre messo in evidenza?
In parte. Diciamo che mi piace indagare le contraddizioni mie e della società. Ovviamente anche del mondo rap, di chi ostenta uno status o una coerenza che poi non corrisponde al reale. Il tutto senza aggressività, ma con il sorriso.

A livello musicale, il tuo album rivela un modo particolare di interpretare la disciplina del rap, aprendola anche ad altri generi musicali, come il jazz e il funk. Un approccio eclettico che è anche un tuo marchio di stile...
Questo nuovo album ha diverse influenze musicali che si rifanno al suono black. Il musicista e pianista jazz Mauro Banfi ha collaborato con me a tutta la composizione e agli arrangiamenti e ha contribuito ad arricchire la musicalità del progetto con ampie parti suonate. Lasciarsi influenzare da chi ti circonda è fondamentale per continuare a sviluppare la propria identità musicale, anche nel rap.

Hai già previsto delle date per delle uscite live con il tuo gruppo?
Quando le condizioni sanitarie generali lo permetteranno, sarò contento di portare il mio show rap con la mia band. Prima del lockdown ho avuto l’opportunità di sperimentare un live con i musicisti che, credo, porti la musica hip hop a un nuovo livello.