Fratture

Lorenza Noseda torna in libreria
/ 18.07.2022
di Manuela Mazzi

Anche nella più mite quotidianità, anche durante una domenica tranquilla, anche se il male si manifesta in un lento progredire, arriva sempre un momento in cui qualcosa spezza la linea della narrazione, crea una frattura insanabile tra un prima e un dopo. Sospende le vite, le cambia, a volte le scuote per poi farle tornare com’erano, anche se niente sarà mai più com’era.

Questa ci pare essere l’idea di controllo dei nove racconti contenuti nell’ultima opera di Lorenza Noseda, che si intitola proprio: Una domenica tranquilla (Dadò editore, 2022).

Eventi, si diceva, che incrinando la quotidianità, fanno muovere i protagonisti lungo traversie che ne deviano il precorso. Un percorso condizionato da un passato e da un presente che non sempre avrà un futuro, come capita nella Lettera a Thérèse, bel racconto dedicato all’amante che fu di Modigliani (Jeanne Hébutherne, la quale posò spesso come sua modella). Di certo, le pagine che ci sono piaciute di più.

La struttura di questi testi è tradizionale, fatta eccezione per un tentativo autoriale, attraverso il quale l’autrice sperimenta l’intreccio di più punti di vista. Lo fa nel primo racconto, che però non ci sembra del tutto riuscito.

Caratteristica interessante e riuscita è invece la voce che ha il sapore di casa, e non solo per i molti rimandi domestici che quasi tutti i racconti hanno come ambientazione, ma per la lingua impiegata, per il lessico e per una certa predilezione nell’uso di quei modi di dire che si usavano per dare consigli secondo la saggezza popolare, per riassumere concetti altrimenti più complicati da esprimere, oppure anche solo per risparmiare parole.

Tra i secondi: «un giovanotto alle prime armi»; «senz’arte né parte»; «non cava un ragno dal buco»; «menar il can per l’aia» e «non svegliar il can che dorme»; «degni di allacciarle le scarpe»; «se le davano di santa ragione», e persino scivola nel dialetto: «Quand la merda la munta in scagn…». Frasi fatte, certo, che qui tuttavia rafforzano la lingua, la quale non vuole simulare il parlato (come si tende a fare più facilmente per rendere popolare una scrittura), ma che vivifica invece i regionalismi, sottolineandone le sfumature colorate.

Basti notare i termini nei quali ci si imbatte con piacere, e un po’ in tutte le pagine; lessico che per l’appunto fa parte – preso nell’insieme – della lingua cosiddetta svizzeraitaliana, e che qui prendono il valore di uno stilema: «grembiule»; «quai»; «lift»; «minestrone»; «pulloverino»; «decolleté»; così come troviamo locuzioni ancora più significative: «facciamo le imposte»; «intortando anche quelli del cantone», «le torte (…) meglio di quelle dello Sprüngli»; e persino, lo diciamo con un filo d’orgoglio, viene menzionata «la Scuola Club della Migros»…

La citazione più bella? «Non strapazzare il tuo talento. Se lo fai tu, anche gli altri riterranno giusto farlo a pezzi, pensando con ciò di rafforzare il loro».