Bibliografia
Agota Kristof, Il Mostro e altre storie, Bellinzona, Casagrande, 2019


Fra le rovine dell'uomo

L’editore Casagrande dà alle stampe quattro pièces di Ágota Kristóf
/ 23.03.2020
di Daniele Bernardi

Sia come dato biografico che come componente dell’immaginario, il teatro, in Ágota Kristóf, occupa un posto particolare. Per chi non lo sapesse, infatti, l’autrice ungherese naturalizzata svizzera agli inizi del suo percorso si cimentò soprattutto nella scrittura drammaturgica per passare poi, in un secondo tempo, alla prosa.

Anche nella sua opera più importante, la triade di romanzi nota ai lettori italofoni come La trilogia della città di K., il «gioco» (al massacro) teatrale è una presenza significativa: bambini, i gemelli Lucas e Claus sottopongono loro stessi ad «esercizi» di auto-rafforzamento il cui sapore richiama la crudeltà del rito scenico; imbastiscono, inoltre, rudimentali numeri da circo coi quali si esibiscono in veri e propri spettacoli.

Non è quindi un caso che l’opera della Kristóf sia, da un lato, di grande interesse per chi lavora sul palco (com’è avvenuto al sottoscritto e a chi, qui accanto, illustra questo testo) e che, dall’altro, i materiali teatrali di cui è parzialmente composta abbiano trovato, col tempo, collocazioni editoriali di rilievo: fu infatti l’Einaudi a pubblicare nel 1999 le pièces La chiave dell’ascensore e L’ora grigia nella «Collezione di teatro». Successivamente, presso Casagrande, apparvero invece i dialoghi di Dove sei Mathias?, mentre in tempi più recenti, sempre per Einaudi, sono usciti John e Joe e Un ratto che passa.

Oggi è ancora Casagrande a invitarci a prendere posto nel desolato universo drammaturgico dell’autrice: infatti, con la pubblicazione de Il mostro e altre storie (2019) ecco che altri quattro scabri copioni – due di questi erano già apparsi presso Lamantica Edizioni – sono a disposizione dei lettori che hanno amato capolavori quali Il grande quaderno e La terza menzogna nelle belle versioni del romanziere Marco Lodoli (a suo tempo già autore dell’edizione italiana di Ieri): Il mostro, La strada, L’epidemia, L’espiazione.

Dopo una prima lettura occorre però premettere che poco ci convince la tesi del traduttore secondo cui, come si legge nella sua nota introduttiva ai testi, Ágota Kristóf sarebbe «un’autrice senz’altro pessimista» ma, anche, incline a non «spegnere l’ultima luce possibile».

In chiusura al suo intervento Lodoli asserisce infatti che «in ognuna di queste opere (...) si alza la voce semplice e chiara della dissidenza» che, debolmente, pare «indicare una stradina in mezzo alla catastrofe». L’affermazione ci sembra distorcere la fisionomia di una scrittrice che ha sempre saputo quanto la vita fosse ben più crudele di un libro: se in Ágota Kristóf trovassimo la cosiddetta speranza (questa la parola che sovente ossessiona chi respinge le sue pagine) tutta la potenza del suo universo narrativo andrebbe in frantumi.

La sola (e, sì, autentica) speranza da lei conosciuta è quella del gesto creativo, delle possibilità del dire al di là di qualsivoglia «messaggio» di fiducia o di disperazione. Ma purtroppo, anestetizzati a morte dal nostro mondo ipocrita, siamo diventati allergici al tragico – la cui peculiarità non è quella di consolare – e incapaci di accettare appieno le parole di chi ci mostra che non c’è scampo.

Prendiamo, ad esempio, Il mostro – la prima delle quattro pièces riunite in volume – dove si racconta dell’insediarsi di una creatura seduttrice, affamata di esseri umani, all’interno di una comunità che, man mano, viene corrotta dalla sua presenza. Non ci sembra che lo spirito di insurrezione di Nob – il giovane che per indebolire il mostro uccide senza distinzione tutti quelli che, attratti dal suo richiamo, gli si avvicinano – rappresenti «una luce» fra le rovine dell’uomo. Al contrario, il suo convertirsi in un cieco assassino è la conferma che l’ingranaggio distruttivo trascina tutti con sé e che, come suol dirsi, la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni: «Questo è accaduto qui o altrove / Da qualche parte / Una volta / Oggi ieri e domani» recitano infatti gli ultimi versi del testo.

Non dissimili ci appaiono i protagonisti di L’epidemia, testo venato di velenosa comicità in cui si narra del diffondersi di un morbo che spinge l’umanità al suicidio. O quelli di L’espiazione: un gruppo di mendicanti al cui interno si celano torturatori ed ex-aguzzini che si sono macchiati di reati per cui (giustamente) «non esiste perdono o oblio». Ágota Kristóf non concede speranze, no, la sua artaudiana crudeltà non glielo permette ed è qui la sua grandezza-saggezza: attraverso la semplicità di una lingua povera, quasi naive, mostrare come, in un orrendo mondo che seguita a illuderci di poter non pagare alcun prezzo, la vita, invece, ci presenti sempre il salatissimo conto della nostra abiezione.