«Strappar tesori dalle viscere della terra era il loro unico desiderio, senza più fini morali di quanti ce ne siano nello scassinare un forziere».
Citando questo passaggio di Joseph Conrad, Alfredo Venturi introduce la storia del colonialismo. La frase di Conrad è in contrasto con un’altra citazione proposta da Venturi, il titolo di un’opera di Rudyard Kipling: The White Man’s Burden, il fardello dell’uomo bianco. Nel suo poema del 1899, lo scrittore britannico spiega che la missione dell’uomo bianco è di conquistare e controllare i non bianchi non per il proprio interesse, ma per il bene della gente di colore. In particolare, Kipling stava incoraggiando la conquista americana delle Filippine.
Inserito in questo vasto contesto planetario, il caso italiano è proposto da Venturi come un esempio di un fenomeno più ampio, il colonialismo, che è più barbarico che civilizzatore.
Tuttavia, l’imperialismo italiano ha anche suoi tratti peculiari. Infatti il nobile richiamo alla missione civilizzatrice di Kipling si associa alla necessità di dare sfogo all’incremento demografico.
All’inizio del XX secolo l’Italia scopre di non poter sfamare una popolazione in tumultuosa crescita: sono i tempi delle grandi migrazioni verso le Americhe. Si riaffaccia dunque il colonialismo, dato che il primo tentativo imperiale, promosso dal garibaldino Francesco Crispi, si è infranto sullo scoglio di Adua, il disastro miliare del 1896.
Ora, all’inizio del XX secolo, il colonialismo italiano associa Kipling ai principi populisti di un altro poeta, Giovanni Pascoli, che descrive l’Italia come una «grande prole-taria».
La parola d’ordine «La grande proletaria si è mossa!» è lanciata da Pascoli il 21 novembre 1911 a poche settimane dall’inizio della campagna di Libia.
Secondo il poeta, l’esuberante demografia italiana può essere gestita soltanto attraverso un adeguato sfogo verso territori sotto controllo. Perché mandare gli emigranti in terre straniere e a volte ostili, quando ci sono nel vicino Continente africano ampie aree che i coloni italiani potrebbero avviare sui sentieri dello sviluppo? Occorre rendere quelle terre prospere e feconde, trarne i frutti della terra e del lavoro. Il termine colonia, non deriva forse dal latino «colĕre», coltivare? Dopotutto, le popolazioni locali sono «nomadi e neghittose», è gente che ha mandato in malora il giardino in cui vive. Quindi gli italiani stanno portando la civiltà agli arabi e ai berberi, gli stanno portando la libertà, li stanno liberando dal decadente dominio ottomano.
La terza fase imperialista italiana è quella di Benito Mussolini, il duce dell’Italia fascista, che combina la volontà di potenza di Crispi al populismo di Pascoli. Il colonialismo di Mussolini è il più brutale e vendicativo: invadendo l’Etiopia nel 1936, vuole lavare nel sangue la sconfitta subita da Crispi ad Adua quarant’anni prima, anche con l’uso di gas asfissianti banditi dalle convenzioni internazionali.
Consigliatissimo, il saggio di Alfredo Venturi sembra lanciare un doppio monito: non solo quello contro il colonialismo, ma anche quello contro i poeti (Kipling, Pascoli, d’Annunzio, Marinetti), che ne cantano le gesta.
Fra i libri
Alfredo Venturi, Il casco di sughero, Rosenberg & Sellier
/ 14.12.2020
di Paolo A.Dossena
di Paolo A.Dossena