Fra i libri

/ 07.12.2020
di Paolo A.Dossena

Lo scorso 3 novembre si è chiusa la campagna presidenziale americana: due giorni dopo, il 5, suona un campanello d’allarme. Hashim Thaci (foto), presidente del Kosovo, si dimette, e il 6 viene arrestato all’Aja per crimini di guerra. I legami tra Thaci e il vincitore delle elezioni americane Joe Biden sono antichi, riportano alla memoria la dimenticata guerra del Kosovo. Su questi fatti ci sono tre libri cruciali.

Il primo di questi saggi (Nationalism Today: Extreme Political Movements around the World, ABC-CLIO, 2020), getta luce sul preambolo di quella guerra. L’autore, Troy Burnett, ricorda che nel 1989 Slobodan Milosevic è eletto presidente della Serbia, che toglie l’autonomia alla regione del Kosovo chiudendo le scuole albanesi, frequentate dalla maggioranza della popolazione locale.
Sempre nel 1989, il kosovaro Ramush Haradinaj (detto «Rambo») appare in Svizzera dove lavora come buttafuori di nightclub. «Rambo» si unisce all’UCK, esercito guerrigliero kosovaro, diventandone poi uno dei capi. Tra i fondatori dell’UCK c’è Thaci (detto «Serpente»), anche lui apparso in Svizzera e sospettato d’essere coinvolto nel crimine organizzato (prostituzione e contrabbando).
La grande maggioranza dei fondi dell’UCK proviene dalla Svizzera, dove oltre 1500 albanesi sono reclusi nelle prigioni federali o si trovano in stato d’accusa. C’è un legame tra i baroni della droga in Svizzera e i capi dell’UCK.

E veniamo a Joe Biden, cui è dedicato il libro di Branko Marcetic (Yesterday’s Man: the Case Against Joe Biden, Verso Books, 2020). Se separiamo le nostalgie patriottiche serbe dell’autore dai fatti che racconta troveremo notizie interessanti.
Biden, racconta Marcetic, diventa la voce più energica tra quelle che chiedono il bombardamento della Serbia per salvare il Kosovo. Ma quando, nel marzo 1999, comincia la campagna dei bombardamenti NATO, emergono varie contraddizioni, tra le quali la morte sotto le bombe di 500 civili.

Le altre contraddizioni le racconta Sergio Romano nella seconda edizione del suo Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, due edizioni, 2019) che riprende le tesi già espresse in La pace perduta (varie edizioni).
Se l’UCK appoggia gli attacchi NATO, la Turchia appartiene di fatto alla coalizione antiserba e fornisce alla stessa NATO il contributo indispensabile delle proprie basi. Ma l’inizio dei bombardamenti coincide con un procedimento penale turco a carico di Öcalan, capo del PPK curdo, la cui linea è analoga a quella di altre organizzazioni terroristiche: IRA, ETA e UCK. Come spiega Romano, finita la guerra fredda la NATO deve reinventarsi un ruolo, giustificare la propria esistenza trovandosi dei nemici (impedendo intanto che gli europei si uniscano militarmente rendendosi autonomi dagli Usa). Quindi, ciò che è condannabile a Belgrado è condonabile ad Ankara.

I tre autori citati hanno opinioni politiche molto diverse tra loro, ma giungono alle stesse conclusioni.
Primo: quando la NATO vince la guerra, il trend si rovescia; espulsioni ed epurazioni sono ora operate ai danni dei serbi. In particolare, Marcetic ritiene che Thaci abbia supervisionato «un brutale programma di rapimenti, omicidi e prelievo di organi». Nonostante ciò, nel 2010 Joe Biden lo definisce «il George Washington del Kosovo».

Sempre in quel 2010, un rapporto del Consiglio d’Europa, riprendendo anche le affermazioni del procuratore ticinese Carla del Ponte, accusa il primo ministro (e poi presidente) kosovaro Thaci d’essere un capo d’una rete criminale impegnata nel traffico di organi.
Secondo punto su cui gli autori concordano: con le sue organizzazioni criminali il Kosovo è un alleato scomodo, per l’Occidente.

Nel 2000 l’Interpol stima che gli albanesi del Kosovo abbiano il controllo del 40% del mercato europeo della droga. «Rambo» e «Serpente» sono accusati d’esserne profondamenti coinvolti.
Romano spiega che nel 2008 il Kosovo dichiara l’indipendenza, ma «le condizioni di una reale indipendenza non esistevano, per via di un’economia legata in buona parte al contrabbando».
Dopotutto, nel 2019 «Rambo» ha rassegnato le dimissioni da primo ministro del Kosovo per essere sentito come sospetto all’Aja, presso una corte sostenuta dall’Unione Europea e istituita nel 2015 per perseguire i crimini di guerra dell’UCK. Ma «Rambo» ha già subito due processi e se l’è cavata. Il 7 novembre, su Twitter, si è congratulato con Biden per la vittoria elettorale, augurandosi di continuare a lavorare con lui.