Fra i libri

Madeleine Albright, Fascismo. Un avvertimento, Chiarelettere, 2019
/ 24.06.2019
di Paolo A.Dossena

L’UCK kosovaro era una banda di terroristi fondamentalmente musulmani che si auto-finanziava in Svizzera attraverso droga e prostituzione (si parlò perfino di un possibile traffico di organi umani). Nel 1998, l’UCK fu improvvisamente rimosso dalla lista statunitense delle organizzazioni terroristiche.

All’epoca il Segretario di stato americano (ministro degli Esteri) era la signora Madeleine Albright, l’architetto dei bombardamenti Nato del 1999 in Kosovo (noti anche come «la guerra di Madeleine») in opposizione alla pulizia etnica serba nella regione, ma anche in appoggio all’UCK. Il quale, da allora, secondo la propaganda della signora Albright, è diventato un’organizzazione di «combattenti della resistenza».

E questa non è che una delle trappole del libro, che si presenta come un saggio di politologia, riducendosi invece a una meschina bega tra politici americani. Infatti, il bersaglio del saggio è Donald Trump, un uomo certamente ignorante e senza tanti scrupoli, ma che viene descritto come un «fascista», il che è faziosa polemica e non politologia.

«Perché infine», scrive Albright, «a questo punto del Ventunesimo secolo, si è tornati a parlare del fascismo? Uno dei motivi, a voler essere onesti, è Donald Trump».

Dell’onestà, in questo libro non c’è nemmeno l’ombra: il saggio è anche una galleria di ritratti di dittatori, che vanno dal finanziatore dell’Isis Erdogan al populista serbo Milosevic. Bene, gente così diversa, dall’islamista all’estremista populista, viene tutta buttata, insieme a Trump, nel calderone del «fascismo».

Ecco quindi cosa scrive ancora la signora Albright: «Chavez anelava a occupare un posto nel Pantheon del suo Paese accanto a Bolivar, e quel sogno lo portò a un passo dal fascismo. Nel frattempo dall’altra parte del mondo, un uomo diverso da lui, ma con ambizioni simili», Erdogan, «andava incontro alle stesse tentazioni… Come Chavez in Venezuela, Putin partì con il piede giusto» ma poi assunse un atteggiamento tale che «nemmeno Mussolini arrivò a tanto». (Putin, secondo Albright, è talmente brutto da sembrare «quasi un rettile»).

Dopo questa grottesca carrellata, c’è il gran rientro della signora Albright nella politica americana, che comincia con un’auto-celebrazione: «Quando, nel gennaio del 2001 abbandonai la scrivania del dipartimento di stato… l’influenza americana era al suo culmine».

Poi, le menzogne: la signora dichiara di essere sempre stata contraria alla guerra in Iraq del 2003, ma la giornalista Linda Qiu del «New York Times», ha smascherato la pretesa opposizione della signora Albright. La quale appoggiò quella guerra. E infatti, a un certo punto scrive: «Promuovere i valori democratici è uno sforzo legittimo, che non sempre va a buon fine ma, quando ciò avviene, si traduce in un’ottica di maggiore rispetto per l’individuo e di miglior governo per la società… lo scopo primario della politica estera è molto semplice: convincere gli altri paesi a fare ciò che vorremmo. Per raggiungerlo abbiamo vari strumenti a disposizione, che vanno dal rivolgere richieste educate a inviare l’esercito sul posto».

E così una banda che viveva su droga e prostituzione divenne un esercito di patrioti che appoggiò l’azione Nato.