Dove e quando

Film Festival Diritti Umani al Cinema Corso e al Cinema Iride dal 19 al 23 ottobre. Informazioni e biglietti si trovano sul sito www.festivaldirittiumani.ch


FFDUL torna a scuotere le nostre coscienze

Dal 19 al 23 ottobre a Lugano c’è la nona edizione del Film Festival Diritti Umani
/ 17.10.2022
di Nicola Mazzi

Quando esci da una proiezione del Festival Diritti Umani di Lugano spesso e volentieri sei frastornato, scosso, anche arrabbiato. Ogni film in programma è come un pugno allo stomaco e ti fa male per ore, anche per giorni.

Lo sanno bene i programmatori, i quali anche quest’anno si sono soffermati su alcuni temi caldi e hanno cercato di sviscerarli. Nei cinque giorni della rassegna si potranno vedere 26 opere, di cui 9 in prima svizzera e 15 in prima ticinese.

I luoghi in cui sono in corso conflitti, dove la libertà è una parola senza senso e dove non si può uscire di casa senza essere sorvegliati sono ancora molti, purtroppo. E la rassegna del presidente Roberto Pomari e del direttore Antonio Prata cerca di metterli in evidenza, grazie a pellicole coraggiose e uniche. Il tutto accompagnato da dibattiti e approfondimenti. Infatti, dopo le proiezioni, sul palco si alterneranno esperti dei temi narrati nei film, insieme ai registi e ai protagonisti delle storie appena viste. Un dialogo come sempre aperto anche al pubblico e in particolare ai ragazzi. Il coinvolgimento degli studenti è un aspetto al quale il Festival ha sempre dato molta importanza ed è parte integrante della rassegna luganese. Quest’anno sono sei le pellicole pensate per i giovani. A iniziare da Yuni che tocca la sempre difficile scelta fra tradizione e integrazione, proseguendo per la radicalizzazione con TheReturn: LifeAfter ISIS, passando per l’analisi del sistema giudiziario russo con The Case, e per le scelte alternative con la comunità della ZAD (Zona da difendere) di Nantes (grazie a L’Étincelle), arrivando alla vita delle seconde e terze generazioni di afrodiscendenti in Svizzera (Je suis noires), fino alla brutalità dei regimi totalitari (Myanmar Diaries).

Proprio quest’ultimo film è un bell’esempio di quanto appena detto. Presentato al Festival di Berlino quest’anno, è ambientato in un Paese che vive sotto una dittatura militare. Dieci cineasti anonimi raccontano la brutalità in cui vivono i cittadini. Si tratta di un collage di brevi documentari misti a film che offre allo spettatore sprazzi di vita e resistenza. Un’opera forte, cruda, intensa e drammatica che inizia in modo surreale, con una ragazza che balla e, per caso, cattura l’inizio del colpo di Stato. Oltre alle immagini ci sono anche alcune parole e quelle più significative e intense sono urlate da una signora – che protesta per l’omicidio a sangue freddo di una ragazza – ai soldati in fila dentro i veicoli militari. Il tutto senza mai mostrare un viso e intingendo la penna del racconto anche in momenti di poesia. Alla fine di una delle due proiezioni di Myanmar Diaries, sabato 22 ottobre, vi sarà una conferenza con Tim Enderlin dell’Ambasciata svizzera in Myanmar e Justine Boillat, responsabile del programma di politica di pace in Myanmar del DFAE.

Un altro momento significativo del Festival è contraddistinto dalla proiezione di Mariupolis e Mariupolis 2. Due opere, anche diverse tra loro, che testimoniano la preparazione e l’arrivo della guerra in Ucraina. Se nel primo capitolo, girato nel 2015, i giorni sembrano apparentemente «normali» e delle bombe si sente solo l’eco lontana (perché i combattimenti nella periferia della città non sono mai cessati dal 2014), nel secondo capitolo siamo immersi nel conflitto. Il regista lituano Mantas Kvedaravičius torna dalle persone che ha filmato sette anni prima e le segue. Fino a quando, mentre sta cercando di lasciare il paese con un’auto, viene ucciso da un razzo russo. Il documentario (vincitore del premio speciale della giuria a Cannes) che sarà proiettato giovedì 20 ottobre al Corso, è stato completato dai suoi collaboratori e produttori.

Ma non ci saranno solo i due film di Kvedaravičius, infatti il Festival ha scelto di mettere un focus preciso sull’area influenzata dall’ex URSS. Come? Mostrando i soprusi della polizia bielorussa nei confronti dei manifestanti con Minsk di Boris Guts. Una fiction molto forte che riproduce fedelmente le angherie del regime di Lukashenko. «Dopo ogni ripresa, tutti noi ci abbracciavamo perché senza affetto e intimità quello che stavamo girando era difficile da sopportare», ha confidato di recente il regista. O ancora sarà proiettato Instruction for survival di Yana Ugrekhelidze sui diritti delle persone transgender nei Paesi dell’Est. Senza dimenticare Klondike di Maryna Er Gorbach, la storia di una famiglia ucraina che abita nel Donbas, proprio sul confine con la Russia.

Un altro appuntamento significativo è il film della prima serata. Mercoledì 19 ottobre alle 20.30 al Corso verrà proiettata l’ultima opera di Jafar Panahi (Gli orsi non esistono), premio della regia all’ultima Mostra di Venezia. Qui c’è lo stesso regista che sta girando un film al confine tra la Turchia e l’Iran – lui in Iran e la troupe all’estero – e viene coinvolto in una diatriba locale per una foto che avrebbe scattato a due fidanzati clandestini. In libertà condizionata dal 2010, Panahi ha continuato comunque a girare film da remoto, un modo per aggirare la censura di Teheran. Ma lo scorso 11 luglio Panahi è stato portato nel carcere di Evin, dove è tuttora detenuto, per aver protestato contro l’arresto dei colleghi Mohamad Rasoulof e Mostafa Al-Hamad. Un carcere, quello vicino alla capitale iraniana, noto per le incarcerazioni di dissidenti politici e oppositori di vario genere e dove è imprigionata anche Alessia Piperno, la giovane travel blogger italiana.

È altresì utile segnalare l’appuntamento di chiusura del festival che lancia un altro evento cinematografico: Castellinaria. Infatti, la sera del 23 ottobre sarà proiettato Alcarràs di Carla Simón, l’opera vincitrice della Berlinale di quest’anno che sarà riproposta nella rassegna bellinzonese, che si tiene a Giubiasco tra il 19 e il 26 novembre. Il film è ambientato in una località rurale della Catalogna dove la famiglia dei protagonisti è da generazioni dedita alla coltivazione delle pesche. Mentre nei frutteti, sotto il sole bruciante dell’estate, si consumano i rituali del raccolto, all’orizzonte si profilano segnali preoccupanti per il futuro. Infatti, i proprietari vendono il frutteto a un’azienda energetica per installarvi sopra pannelli solari. Ecco, quindi, che la questione ambientale e in particolare i tanto apprezzati pannelli solari possono diventare un problema per il sostentamento economico di una famiglia.

Non mancheranno gli eventi collaterali come la mostra sul volume Finestre sull’altrove / 60 vedute per 60 rifugiati, dell’architetto illustratore Matteo Pericoli: dal 18 al 23 ottobre a Villa Ciani saranno esposte le tavole e i racconti tratti dal libro. E infine, sabato 22 ottobre, si celebreranno i 30 anni del CISA con la proiezione di alcuni cortometraggi realizzati da giovani autori su temi legati ai diritti umani.

E gli ospiti? Segnaliamo che tra le varie personalità sarà a Lugano la regista franco-cambogiana Neary Adeline Hay, alla quale venerdì 21 ottobre sarà attribuito il Premio Diritti Umani. Come ha detto il direttore della rassegna Antonio Prata «questa regista ha consacrato fino ad oggi gran parte del suo lavoro al genocidio cambogiano, alla ricostruzione difficile della sua identità personale e a quella di un intero popolo profondamente segnato da quei tragici eventi». Una presenza che si differenzierà dalle altre sarà quella del rapper Inoki, ospite del dibattito Ritmo e poesia oltre la nera cortina, titolo emblematico, al termine della prima svizzera del film El Arena (sabato 22 al cinema Corso), che racconta dei raduni e delle «battle» tra rapper provenienti da vari paesi del Medio Oriente.

Tutti gli appuntamenti hanno il compito di scuotere le coscienze e mostrare mondi vicini e lontani che non hanno la libertà e la forza di poter organizzare un festival sui diritti umani.