Un'immagine di Ferlinghetti risalente a un anno fa (Keystone)


Ferlinghetti, l’ultimo dei poeti maledetti

È scomparso all’età di 101 anni Lawrence Ferlinghetti, poeta-editore ribelle
/ 01.03.2021
di Federico Rampini

«Dove nacque la Beat generation»: è lì che 21 anni fa, andando a vivere a San Francisco, incontrai una leggenda vivente: Lawrence Ferlinghetti, il poeta-editore ribelle, che è scomparso la scorsa settimana all’età di 101 anni. 261 Columbus Avenue, angolo Broadway: dichiarato monumento nazionale, l’indirizzo è ormai segnato sulle guide per viaggiatori. Eppure la libreria City Lights non ha perso né la sua vitalità sovversiva né il fascino bohémien.

Da quando divenne famosa come la culla del movimento Beat, ha resistito all’usura di tutte le mode. Con i suoi scaffali all’antica, le pareti in linoleum, le piccole scomode sedie di legno per i dibattiti, prima ha sfidato gli assalti commerciali dei supermercati librari tipo Barnes&Noble, poi ha ignorato la concorrenza di Amazon. Casa editrice di nicchia e café littéraire affollato ogni sera, City Lights si è reinventata attirando generazioni di poeti giovani, saggisti anti-establishment, nuovi narratori delle minoranze etniche e del Terzo mondo. «Ci siamo imposti creando una comunità letteraria e un luogo d’incontro di tutte le avanguardie», mi disse Ferlinghetti, ottantenne quando lo incontrai per la prima di una lunga serie di conversazioni. Già vent’anni fa era l’ultimo sopravvissuto della «generazione maledetta» dei poeti Beat.

Subito dopo la Seconda guerra mondiale, dopo aver visto di persona l’orrore atomico a Nagasaki, il giovane reduce Ferlinghetti sbarcò in una San Francisco che gli sembrò «un po’ Parigi per la poesia europea di certi quartieri, un po’ Tunisi per le case bianche sul porto e la luce mediterranea». Il quartiere degli immigrati italiani, North Beach, aveva già una ricca tradizione letteraria con Mark Twain, Jack London, William Saroyan.

Qui Ferlinghetti, figlio di un immigrato del Bresciano, insieme con l’amico sociologo Peter Martin, decise di aprire City Lights nel 1953: e fu subito originale per la scelta di vendere all’inizio solo paperbacks, i libri tascabili. In politica la scelta di campo era inequivocabile. Il maccartismo, il clima anticomunista di caccia alle streghe, non impedì a Ferlinghetti di mettere autori proibiti in vetrina. North Beach era un covo di resistenza anche perché aveva un nucleo di antica immigrazione ligure discendente da ex garibaldini, e di anarchici toscani: gli spazzini italiani fermavano il camion della nettezza urbana davanti alla libreria per approvvigionarsi di riviste di estrema sinistra.

La notorietà nazionale arrivò con il processo del 1957, quando Ferlinghetti fu arrestato e incriminato per oscenità per aver venduto Howl and Other Poems, la raccolta di poesie di Allen Ginsberg. Ma il giudice Clayton Horn sancì che quei versi «si riscattavano per il valore sociale» e lo assolse in nome del Primo emendamento. Fu una vittoria legale che aprì la strada alla pubblicazione di importanti autori allora all’indice come D.H. Lawrence e Henry Miller. Nel frattempo City Lights era diventata il centro del movimento Beat (un termine preso in prestito dal jazz dove «beat» voleva dire rigettato, emarginato).

Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs si erano incontrati a Manhattan attorno alla Columbia University, poi emigrarono sulla West Coast dove si unirono a Ferlinghetti e diedero vita a quella che fu chiamata la «San Francisco Renaissance». Le loro poesie e i loro romanzi si distinguevano, scrisse Gilbert Millstein sul «New York Times» il 5 settembre 1957, «per la ricerca frenetica di ogni possibile impressione sensoriale, un’esasperazione dei nervi, una sfida costante delle possibilità estreme del corpo attraverso l’alcool, la droga, la promiscuità sessuale, la guida ad alta velocità o il buddismo zen». La generazione dei «beatnik» – così battezzata nel 1958 dopo il lancio del satellite sovietico Sputnik – era disillusa, ancora segnata dagli orrori della Seconda guerra mondiale, e in attesa di una Terza che sembrava inevitabile nell’escalation nucleare Usa-Urss. Dell’America di Eisenhower rifiutava quasi tutto: il grigiore del conformismo borghese, il puritanesimo, il razzismo, le gerarchie sociali plasmate sul modello della grande industria. Nel cuore della Bay Area di San Francisco i fermenti dell’epoca Beat hanno generato ribellioni e trasgressioni a ondate generazionali.

Sull’altra sponda della Baia, a Berkeley, nel 1964 esplodeva il Free Speech Movement, precursore del Maggio ’68 parigino e della protesta contro la guerra in Vietnam. Sempre sulle acque della Baia, a Oakland, nascevano negli stessi anni le Black Panthers, la più radicale organizzazione politica afroamericana, poi approdata al terrorismo. «Anche Woodstock», scrisse Burroughs, «è nato dalle pagine di Kerouac». La moda hippy, la New Age e il sincretismo con le religioni orientali, hanno mosso i primi passi in quest’angolo della West Coast. Nelle parole di Ferlinghetti «un luogo informale, intimo, con uno charme anarchico».

Di tutte le rivoluzioni che ha visto o sognato, solo quella tecnologica e industriale della New Economy non è piaciuta a Ferlinghetti. Impegnato a difendere la fisionomia bohémien del suo quartiere, il poeta vide con orrore l’invasione delle start-up, il boom dei prezzi immobiliari, la fuga dei giovani artisti allontanati da una città troppo cara. «Questa non deve diventare una città unidimensionale, una città del business omologata a tutte le altre città d’America», protestava.