Femminile non è (solo) donna

Pubblicazioni – La filosofa Lina Bertola nel suo ultimo libro riflette sul tema del «femminile» inteso come una forma di approccio alla vita che riconnette uomini e donne alla propria voce interiore
/ 13.09.2021
di Laura Di Corcia

Una foto di una bambina in braccio ad un uomo alto e robusto: questa la copertina del libro della filosofa Lina Bertola, Kill Venus! Liberare il femminile tradito negli uomini e nelle donne (Armando Dadò editore). Scopo del testo è raccontare come il tema del «femminile» sia vilipeso nella nostra cultura di matrice occidentale, che, arroccata sul «Logos» e su ciò che è ben visibile, quantificabile e dimostrabile, ha dimenticato o posto in secondo piano le radici del sentire (e forse dell’essere?). Inizio subito con il dire che il titolo di questo libro mi ha creato qualche titubanza: il termine «femminile» – lo ammetto – non è fra i miei preferiti. Lina Bertola non è certo una sprovveduta e sa che nell’ampio contesto del femminismo ci sono correnti contrapposte, ovvero quella di chi vede nelle donne una differenza che va sottolineata e alla quale va dato spazio nella società e, d’altro canto, quella di chi invece ritiene che questa differenza sia frutto di un costrutto culturale, non tanto di questioni legate alla biologia e ad una diversità quasi naturale fra uomini e donne. Ma la filosofa sottolinea subito, a inizio libro, quanto sia fuorviante associare «la parola femminile all’essere donna». Cito ancora dal primo capitolo: «Femminile non è parola che qualifichi in modo specifico l’essere della donna. (…) Il termine femina ha la stessa radice di fe, di fetus, ma anche di felix e ferax, attributi della terra quando è generosa e feconda. Il termine si riferisce dunque alla donna nella sua specifica natura biologica ma rinvia, allo stesso tempo, anche al legame di amore e di intimità con la vita. Il significato si estende dunque oltre la biologia e indica in ciò che chiamiamo femminile una forma di approccio alla vita».

Questo approccio, che si dipana per gli altri capitoli, non riguarda quindi solo le donne, ma anche gli uomini. Non è un caso che la copertina del libro, come anticipato, ritragga un uomo con una bambina, lei e il padre, ovvero l’uomo che ha insegnato a Lina Bertola che cosa significhi femminile. «Nel contatto fisico con il corpo possente di mio padre – si legge nel primo capitolo – ho imparato a riconoscerne la voce e a farla risuonare nel mio corpo di bambina. In quei momenti, lo capii dopo, avevo incontrato il femminile senza ancora conoscere questo suo nome (…). Per questo motivo ho ritenuto bello dedicare l’immagine di copertina a questa scoperta. Non avevo ancora un anno e mio padre scelse di portarmi in spalla giù per le ripide curve del Passo del San Gottardo. Venti chilometri di amore per evitarmi il mal d’auto». 

Coltivare il femminile significa quindi, secondo l’accezione data al termine dalla filosofa, connettersi con il sentire, con la cura, sconfiggere le modalità egotiche del patriarcato, che possono prendere spazio e albergare in uomini e donne, imparare a scavare nei propri spazi interiori per cercare e magari anche trovare un modo più sano e vitale di stare al mondo, a contatto con i ritmi naturali e biologici, che riesca a mettere fra parentesi il grande sogno dell’umanità fin dal principio: dominare la natura. Può non essere tutto questo più che condivisibile? D’altra parte Ivan Jablonka, in un recente saggio citato da Bertola nel suo libro, scrive che «ci sono molti modi di essere uomini. Si può concepire un uomo femminista, ma anche un uomo che accetta la sua parte di femminile, un uomo che considera repellenti la violenza e la misoginia, un uomo che abbandona i ruoli che gli hanno cucito addosso, un uomo senza l’autorità, l’arroganza, il privilegio la pretesa di tutta l’umanità». Sono assunti che, per fortuna, iniziano a circolare. Non a caso il libro della filosofa ticinese mi ha riportato alla mente un bellissimo documentario che fino a un anno fa si poteva trovare sulla piattaforma Netflix, intitolato The mask you live in, che mostrava come gli stereotipi sulla virilità e sulla mascolinità creino un vissuto difficile, prima che alle donne, agli uomini stessi, costretti per retaggio culturale a indossare una maschera che avrebbe a che fare con una virilità intesa in maniera retrograda. Non piangere, non esprimere le proprie emozioni, essere sempre sorridenti e mostrare una felicità e un successo fasulli portano lontano dalla verità del corpo, oggi più che mai, in un’epoca dove il virtuale punta in direzione di una smaterializzazione non certo spirituale. 

La via del femminile indicataci da Lina Bertola è una via di ritorno all’ascolto del corpo, della voce interiore, una via silenziosa che mette fine al chiacchiericcio, all’opinionismo frettoloso e superficiale. Chiudo con le parole del libro: «Riuscire a percepire la felicità come presenza e insieme come guida del nostro vivere significa riuscire a sentire la vita nella sua pienezza, leggervi l’unicità del suo cammino, i colori, le sfumature, le ombre e a volte il buio, che la accompagnano, giorno dopo giorno. Significa sentirla anche nel corpo, nel tempo della cura, prestando attenzione ad ogni dettaglio della sua delicata presenza/assenza».

Informazioni
Il 5 ottobre alle 18.00 Lina Bertola presenterà il suo libro Kill Venus! presso la biblioteca Cantonale di Lugano, dialogheranno con lei Fabio Merlini e Stefano Vassere