Nobildonne misteriose, scapestrati giovani rampolli, grassi banchieri, altezzose ragazze aristocratiche, artisti ingenui, medici scaltri, lacchè crudeli, avvocati di successo, giocatori incalliti e poi maggiordomi, governanti, cuoche, cameriere, stallieri, giardinieri sono il microcosmo che anima Blackheath House, maestosa residenza nella campagna inglese circondata da una enorme tenuta con un parco, un lago e un bosco: questo è il sontuoso palcoscenico del romanzo giallo Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton appena arrivato in Italia, premiato e osannato da migliaia di lettori inglesi, sino ad oggi orfani della regina britannica del mistery plot.
«Agatha Christie era un genio nell’inventare intrighi polizieschi, ma i personaggi non le interessavano granché, tanto li uccideva dopo una ventina di pagine. Io invece amo profondamente i miei protagonisti, qualunque sia la loro indole, o il loro destino», ci ha raccontato con humour il quarantenne Stuart Turton, giornalista e scrittore, che abbiamo incontrato a Bologna, ancora incredulo del grande successo di questo suo primo libro.
«Per anni sono stato un fervente lettore di Agatha Christie, i suoi romanzi sono una fotografia fedele della società inglese della prima metà del 1900: raccontano le varie classi sociali e come si viveva all’epoca in modo vivido e divertente, facendo emergere, tra un mistero e l’altro, una realtà degna di un documento storico. A ventun anni decisi di scrivere un romanzo poliziesco con il suo stile, ma con un intrigo originale. Avevo sottovalutato la difficoltà dell’impresa e dopo sei mesi di tentativi, accantonai l’idea. Nel frattempo ho girato il mondo da Londra a Shanghai facendo mille mestieri, poi nel 2014 mentre ero su un aereo per il Qatar, alle tre del mattino, quella storia autentica che avevo cercato invano, era lì, nella mia mente, chiara sin nei minimi particolari come l’ho scritta in Le sette morti di Evelyn Hardcastle».
La cupa ed elegante Blackheath House nasconde più di un segreto e malgrado l’andirivieni della servitù e il vociare allegro degli invitati in attesa del grande ballo in maschera per festeggiare il ritorno da Parigi della bella Evelyn, figlia di Lord e Lady Hardcastle, il nervosismo è palpabile. Gli ospiti passeggiano nel parco, o partecipano alla caccia alla volpe, ma quello che sembra un paradiso, è in realtà un inferno dove si aggira un sanguinario assassino che, notte dopo notte, uccide Evelyn con un colpo di pistola, in riva al lago dove anni prima era stato trovato morto suo fratello Thomas. Ogni volta, il sonno cancella nei personaggi avvenimenti e ricordi, così ogni mattina la giornata a Blackheath House ricomincia tale e quale. O forse no, visto che tra gli ospiti, c’è chi tenta di salvare Evelyn e chi invece non esita a far ricorso alla propria insospettabile malvagità per sabotarlo, salvare sé stesso e fuggire da quell’incubo riuscendo a risolvere il quesito: chi ha ucciso Evelyn Hardcastle?
«La storia è volutamente ambientata all’epoca di Agatha Christie, dalla quale ho preso in prestito anche il linguaggio e i suoi tipici personaggi» ci rivela Turton divertito, «tutto si svolge in un ventesimo secolo un po’ retrò dove si parla un inglese che è quello contemporaneo, punteggiato da espressioni piene di sfumature che in alcuni casi ho diversamente aggiornato, o coniato». Ma se all’inizio i personaggi sembrano usciti da un giallo di Agatha Christie, più ci si inoltra nel racconto e più ognuno di loro si affranca dal proprio «modello», rivelando sfaccettature inedite e sorprendenti. Tutto il romanzo è un continuo gioco a rimpiattino con il lettore appassionato del genere, il cui immaginario viene continuamente solleticato, coinvolto nella narrazione, e poi spiazzato da diversi colpi di scena.
«Ho amato tutti i maestri del genere come Conan Doyle, Raymond Chandler, Daphne Du Maurier, Frank Kafka, Edgar Allan Poe, perciò nel mio romanzo c’è un po’ di Dracula, di Sherlock Holmes e di Nero Wolfe, che si palesano nei momenti in cui il mio detective è costretto ad assumere identità e sembianze diverse e io ne approfitto per evocare altre atmosfere».
Agatha Christie avrebbe sicuramente apprezzato i risvolti sociali e quelli più salottieri della storia, come pure le oscure genealogie familiari e gli intricati motivi che portano ancora una volta gli esseri umani al delitto, ma anche gli aspetti romantici e quelli più arditi come i viaggi nel tempo e una sorta di trasmigrazione delle anime, che hanno indotto Stuart Turton a porsi svariati quesiti filosofici e a tuffarsi nella psicologia dei suoi personaggi che, con humour a volte livido, a volte divertito, si giudicano, si criticano e si detestano. «Mi ci sono voluti quasi sei mesi per buttare giù l’impianto del romanzo tenendo conto di ogni minuto delle giornate dei protagonisti, nonché una mappa della casa e dei terreni intorno, dove era annotata ogni stanza, ogni finestra e ogni porta che essi aprono, chiudono, o varcano per entrare, fuggire, o per tendere un agguato. Il tutto era scritto su più di duecento fogli che per comodità avevo attaccato alle pareti della minuscola casa dove abitavo e per tre anni ho vissuto assediato dalla carta».
Nelle Sette morti di Evelyn Hardcastle, Stuart Turton ha creato un labirinto di personaggi nel quale ha rischiato di perdersi, magari rimanendo imprigionato nell’una o nell’altra personalità seguendo il suo detective da un corpo all’altro. «Quando si scrive un romanzo ci si scopre più del previsto, così io mi sono reso conto che la ricchezza e i privilegi mi rendono diffidente. Amo i lavoratori piuttosto che i ricchi. Tuttavia questa è una storia di malvagità e di redenzione dove tutti i protagonisti sono messi alla prova e con il tempo, possono cancellare i loro errori. Ma anche commetterne di nuovi». Il detective obbligato a una spasmodica corsa contro il tempo, inseguito da un oscuro assassino è alla continua ricerca di indizi, di alleati e di Anna. Ma chi è Anna? Questo è uno dei pezzi mancanti del puzzle, e sarà l’ultimo mistero a venire svelato da questo affascinante romanzo.