Quando era ragazzo Glen Matlock fu una delle menti creative della rivoluzione punk nei Sex Pistols che abbandonò venendo rimpiazzato da Sid Vicious. Nel corso degli anni è tornato insieme ai suoi ex compagni per alcuni tour, il più famoso dei quali fu il Filthy Lucre del 1996. Nel frattempo ha collaborato con innumerevoli musicisti e ha partecipato a moltissimi progetti musicali. Oggi ha un nuovo disco da solista pieno di energia e invettive politiche, è in tour con i Blondie. E non ha nessuna voglia di fermarsi.
Anni fa hai scritto una biografia intitolata «I was a teenage Sex Pistol» (riedita nel 2012). Quella storia è raccontata, da un altro punto di vista, in Pistol la recente serie dedicata ai Sex Pistols del regista premio Oscar Danny Boyle. Come l’hai accolta?
Ho avuto modo di vederla in anteprima con mio figlio. Avrebbe potuto essere più coraggiosa, ero inizialmente a favore perché poteva essere qualcosa di speciale. Ma purtroppo non è così. Io come il batterista Paul Cook veniamo rappresentati senza alcuno spessore. E soprattutto il racconto che io fui cacciato dalla band semplicemente non è vero, fui io a lasciare. Sono stato molto deluso da questo e infatti l’ho detto anche a Boyle. So che John (John Lydon Rotten, cantante dei Sex Pistols ora leader del Public Image Ltd. ndr) ha tentato di opporsi alla realizzazione, ma poi il tutto si è trasformato in una contesa legale su chi detiene il marchio dei Sex Pistols. D’altronde si basa sul libro di Steve Jones (il chitarrista dei Pistols, ndr) che in fondo fu quello che fondò il gruppo e che ha diritto a raccontare la storia dal suo punto di vista. Ma per me è stata una delusione.
Quel periodo della tua vita fa parte ormai della mitologia del rock…
È strano e in parte incredibile. Ormai non ci posso fare nulla. Sono stato nei Sex Pistols dal 1975 al 1977, ma è quello di cui la gente vuole sempre parlare. Sarò un ex-Sex Pistol per tutta la mia vita. Per quanto riguarda la mia versione della storia, a volte non importa quello che racconti. La gente non ci crede e continua a chiederti come andarono davvero le cose.
In realtà con Sid Vicious, che ti rimpiazzò nei Pistols, hai avuto anche una band, i Vicious White Kids nel 1978…
Si trattò in realtà di un unico concerto. Eravamo rivali, ma fu una bella esperienza. Dopo appena un paio di prove organizzammo uno show a Londra che con il passaparola fu tutto esaurito. Un repertorio di sole nove canzoni di rock’n’roll. A grande richiesta continuammo a suonare e ripetemmo la scaletta tre volte. Fu in quell’occasione che conobbi per la prima volta Debbie Harry dei Blondie. C’erano anche Steve e Paul dei Pistols e i Thin Lizzy. Circola anche un bootleg della serata, che però raccoglie solo l’ultima parte dell’esibizione quando l’alcol si stava già facendo sentire un po’ troppo. Quello che si dimentica è che Sid alla fine era un interprete di talento, alla sua maniera era come un Elvis, sapeva dare una propria interpretazione a canzoni non sue.
L’avventura dei Pistols iniziò a Londra nel negozio, in cui lavoravi, della stilista Vivienne Westwood, scomparsa lo scorso dicembre. Che ricordo hai di lei?
Non siamo stati molto in contatto da quell’epoca, l’ultima volta che la incontrai di persona era al funerale di Malcolm McLaren. Poi ogni tanto ci siamo sentiti attraverso il figlio Ben che è mio amico. Me la ricordo come una donna complicata ma determinata, che non accettava mai un no come risposta, che sapeva essere oltraggiosa nel modo in cui vestiva. Le piaceva ridere anche se era a tratti molto seria. Dopo la sua morte ho partecipato a una commemorazione in suo onore. Erano presenti tutte le più grandi star della moda, del pop e del cinema.
Negli anni hai fondato i Rich Kids con Midge Ure, suonato con Iggy Pop ai tempi in cui lavorava con Bowie, nel 2010 hai fatto parte della reunion dei Faces con Ron Wood… Oggi, a parte i lavori solisti, sei il bassista dei Blondie. A differenza degli altri Pistols non sei rimasto prigioniero del passato.
Non seguo molto più quello che fa John Lydon, oggi mi sembra un po’ come quelle star dei musical che interpretano sempre lo stesso personaggio. Steve Jones va un po’ dove ci sono i soldi. Vive a Los Angeles e si gode quello stile di vita californiano e non vedo perché non dovrebbe farlo, Paul Cook ha partecipato a vari progetti. Io cerco sempre di farmi coinvolgere in quello che mi viene proposto. Ho appena finito un tour americano con i Blondie dove abbiamo suonato anche al Festival Coachella e adesso ho un mio nuovo album.
Consequences Coming è il tuo nuovo lavoro solista, un disco di rock passionale, molto politico. Le conseguenze che stanno arrivando a cui ti riferisci nel titolo sono quelle della Brexit e delle scelte fatte dai governi inglesi.
Ho iniziato a comporre alcune delle canzoni appena prima della pandemia. La scelta della Brexit si è ritorta contro di noi. E sta arrivando la resa dei conti per gli esponenti politici che hanno ingannato la gente. Quando nel primo singolo del disco parlo di «Head on a stick» («testa su una picca») ovviamente è una metafora, ma il senso è quello. Boris Johnson si credeva il re del mondo e quanto è durato? Neppure tre anni. Forse sta accadendo anche in America. Qualche settimana fa ero a New York proprio per un concerto dei Blondie. Manhattan era bloccata dopo la notizia che Donald Trump era stato formalmente accusato in tribunale. Sì, forse le conseguenze stanno davvero arrivando.
Il disco è stato accolto molto bene dalla critica, esce per la prestigiosa etichetta londinese Cooking Vinyl, con te anche dei musicisti che conosci da tempo…
La Cooking Vinyl ristamperà in vinile anche gli ultimi miei due precedenti dischi. Per questo album ho lavorato con artisti molto bravi e con cui è molto divertente suonare, con alcuni di loro collaboro da anni: il chitarrista Earl Slick (già chitarrista di Bowie, ndr), Clem Burke con cui suono anche nei Blondie, Chris Musto che era nella band di Johnny Thunders e un chitarrista giapponese Tomoyasu Hotei, che è considerato il Jeff Beck nipponico.
Una nuova generazione di giovani sta riscoprendo i grandi nomi dell’era del punk che sono ancora in tour. Vogliono rivivere un pezzo di storia?
Forse è così, il prossimo 1° luglio a Londra suonerò con i Blondie in un festival che vede sul palco anche Iggy Pop, e Steve e Paul dei Sex Pistol con la loro nuova band, i Generation Sex in cui canta Billy Idol. Essere considerati pezzi di storia mette a disagio, ma io cerco di essere un artista contemporaneo, di parlare di quello che accade oggi. È quello che ho voluto fare con il mio nuovo disco e con le mie nuove canzoni.