C’era grande attesa per il Ring di Valentin Schwarz, inizialmente previsto per il 2020, rimandato a causa della pandemia e ora finalmente in scena, un Ring senza pace, se anche Pietari Inkinen ha dovuto rinunciare alla direzione d’orchestra, bloccato dal virus. Ringraziato Cornelius Meister per avere preso in mano l’impresa e averla condotta con crescente convinzione, non v’è dubbio che questo sia l'Anello di Schwarz, giovane regista austriaco che da oltre dieci anni lavora nei teatri tedeschi allestendo opere dei più vari autori. Vena ironica se non addirittura comica, predilezione per un teatro d’opera legato alla contemporaneità, questo è il suo primo Wagner e lo affronta insieme al fedele scenografo Andrea Cozzi. Schwarz ha 33 anni, tanti quanti ne aveva Chéreau quando realizzò il celeberrimo Ring del Centenario nel 1976. Ma le analogie finiscono qui.
Questo nuovo allestimento fornisce fin dal primo tassello, Das Rheingold, alcuni elementi, troppo pochi tuttavia, per mettere a fuoco il progetto del regista. L’idea forte è che l’oro (e poi l’anello) sia un ragazzino – unico maschio in una nidiata di femmine – che Alberich rapisce e che educa a sua immagine, ovvero a diventare un bullo, e poi un delinquente. Die Walküre si apre su uno scenario quasi tradizionale, la «capanna» di Hunding, dove il padrone di casa si affanna a ripristinare l’elettricità, quando la luce salta per colpa del temporale. Ma c’è un particolare: quando Siegmund e Sieglinde si incontrano, lei è già vistosamente incinta, dunque chi è il padre del bimbo che nascerà? Più avanti scopriremo che il padre di Sigfrido è Wotan. Tutto questo, unito alla lettura di qualche nota del regista, ci fa capire che Schwarz intende narrare la storia di una grande famiglia allargata, dove i legami familiari, già complessi nella mitologia wagneriana, si fanno ancora più fitti fino a tessere una trama nuova, che il pubblico deve imparare a scoprire.
Wotan e Alberich, ad esempio, sono fratelli gemelli come Siegmund e Sieglinde. Per volontà di Schwarz, Freia si suicida e assistiamo nella Valchiria al suo funerale. Di conseguenza la famiglia di Wotan perde il dono dell’eterna giovinezza che i frutti di Freia garantivano e le valchirie diventano signore nella sala d’aspetto di un chirurgo plastico, con nasi e volti rifatti e fasciati. Il regista si diverte e noi con lui. Il bebè di Sieglinde viene consegnato a uno sconosciuto che seguirà Brunilde sulla rocca dove giacerà circondata da fiamme: si tratta del cavallo di lei, Grane. Dopo l’ultimo commosso dialogo tra padre Wotan e figlia Brunilde, sul finale il regista azzarda un incontro tra Wotan e la moglie Fricka, che propone un brindisi al marito. Ma Wotan indossa il cappello da viandante e se ne va.
Il tema del conflitto generazionale è molto forte nel Ring, sia nel rapporto tra Wotan e l’amata ma disobbediente Brunilde (anche se in realtà Brunilde disobbedendogli esegue la vera volontà del padre), sia, anzi soprattutto, nella figura di Sigfrido e nel suo rapporto con il detestato tutore Mime e con il «padre» Wotan. Nel terzo tassello della Tetralogia, il regista lo sottolinea vistosamente: i vecchi sono malati, e i giovani devono – loro malgrado – accudirli. In scena un letto da ospedale ospita l’anziano Fafner, un montascale è presente nella fucina di Mime, a cui viene regalata una stampella. Mime è un povero vecchio bisognoso di badante, e tocca a Sigfrido svolgere questo ruolo. L’eroe si scontra anche con il «padre» Wotan e lo sconfigge una volta per tutte. Al regista piace anticipare la presenza di personaggi il cui ingresso è previsto più tardi nel libretto, e questo non solo accentua l’idea di una grande saga familiare, in cui tutti sono parenti, ma confonde e mischia i buoni con i cattivi assimilando gli uni agli altri.
Nel secondo e terzo atto è presente, muto ma in azione, il giovane Hagen, che aiuta Sigfrido a uccidere Mime, e di nuovo torna in scena Grane. Nel celebre duetto d’amore tra Brunilde e Sigfrido sarà il cavallo a contendergli la donna; Grane sa che Brunilde perderà il suo status di guerriera e lui stesso le sue doti, e cerca di strapparla a Sigfrido, ma invano.
L’inaugurazione con Tristan und Isolde è stata «salvata» dal direttore dell’Osi, Markus Poschner
Nel Crepuscolo degli dei Sigfrido e Brunilde hanno un figlio, Sigfrido non beve la pozione che dovrebbe fargli perdere la memoria, scatena una scena degna del Truman Capote di A sangue freddo per rapire la sua ex-amata e condurla in sposa a Gunther – uno dei momenti più riusciti dell’allestimento – e muore ucciso da Hagen sul fondo della piscina dove Alberich ha rapito il bambino all’inizio della vicenda.
Per capire il progetto di Valentin Schwarz occorre, ahinoi, leggere il programma di sala e ascoltare i podcast in cui si racconta il suo Ring. Si scopre che la lotta al cambiamento climatico è uno dei temi forti del regista. Nello spettacolo non ce ne siamo accorti.
Le sue intenzioni sono interessanti, ma la loro traduzione in scena è inadeguata e insufficiente. La narrazione procede per via aneddotica e contraddittoria, ispirata dalle serie tv, circoscritta alla vicenda familiare, senza portare una visione più ampia.
Sul piano musicale e vocale è stato il festival delle sostituzioni. L’inaugurazione con Tristan und Isolde è stata «salvata» da Markus Poschner, direttore dell’Orchestra della Svizzera italiana, che ha raccolto critiche lusinghiere e che a Bayreuth ha già da tempo intrapreso un percorso che certamente non finirà qui. Citiamo il Wotan dell’ultimo atto della Valchiria, interpretato da Michael Kupfer-Radecky (intervenuto in soccorso dell’infortunato Thomas Konieczny) che è stato nel Götterdämmerung un Gunther di straordinarie doti interpretative. Non dimentichiamo l’inossidabile Albert Dohmen (Hagen), la voce meravigliosa di Lise Davidsen (Sieglinde), Georg Zeppenfeld, (cattivissimo Hunding), Okka von der Damerau (Erda) e Christa Mayer (Fricka). Infine abbiamo vissuto momenti memorabili con il Festival open air, serata magica con orchestra, cantanti e direttori del festival nel parco del Festspielhaus, da ripetere negli anni a venire.