Imponente in tutto il suo essere, Andreas Flückiger i suoi 66 anni li sfoggia con ironia e un pizzico di fatica, soprattutto per quell’eterno conflitto tra passioni che ha dentro, e che da una parte lo portano ancora ad esibirsi senza risparmiarsi davanti al pubblico, e dall’altra lo relegano in un angolo sperduto dell’Emmental a scrivere. Le stesse passioni che lo hanno reso famoso grazie ai testi delle canzoni in dialetto bernese (lingua franca di gran parte della produzione musicale svizzera), e ora lo spingono a scrivere poesie in Hochdeutsch.
Il suo è un dissidio anche identitario: nato nell’Emmental, figlio di un poliziotto protestante e di una cattolica austriaca, trascorre i primi (felici) anni della propria vita nel Canton Berna, per poi ritrovarsi catapultato, dopo la morte del padre a seguito di un incidente stradale, nel chiuso e severo mondo della famiglia della madre a Karnten. Gli anni di internato in un istituto religioso, non faranno che esaltare l’aspetto ribelle e rivoluzionario di Endo Anaconda, mentre la doppia appartenenza, che si tramuterà in doppia patria, si riverbererà anche nei luoghi della sua vita, e più precisamente nelle sue due città, Berna e Vienna. Di qua, dunque, la capitale svizzera con i suoi voyoux e chi si arrabatta per sopravvivere ai piedi dei fasti di Palazzo Federale, dall’altra la capitale austriaca in cui si respirano ancora gli aliti della grandeur passata e un’indubbia signorilità.
Tutte queste anime albergano nel metro e ottantasei di Andreas Flückiger, più noto come Endo (da Andreas-Aendu-Endo) Anaconda, o come leader e mente degli Stiller Has, una delle band di maggiore successo della Svizzera tedesca. A volere fare una retrospettiva della movimentata e turbolenta vita di un artista fuori da ogni schema e al di là di ogni definizione, ne uscirebbe un personaggio burbero, timido e ironico, probabilmente anche un po’ testardo, spinto da sempre da un inossidabile senso di giustizia mescolato a una genialità fuori del comune. Ha coniato il termine Moudi, nome di una canzone, del suo gatto, nonché di un certo mal di vivere; ha cantato in blues il fiume bernese per eccellenza, quell’Aare che è mecca di chiunque ami una certa wildness; ha resuscitato l’eroina erotica degli anni 70 Vampirella, che nell’omonima canzone si muove tra il Monte Verità e il prato del Marzili. Citazioni, riferimenti e un ritmo irresistibile, oltre a un’irriverenza ormai proverbiale, è questo forse il segreto del successo di Endo Anaconda.
Endo siede in fondo al BarBière di Berna, schiena contro la parete, la fronte nascosta dall’immancabile cappello e il mento dal giornale. Gli occhi verdi da caimano sondano, osservano, soppesano, valutano e registrano, traghettando le presenze di chi gli sfila davanti nelle piccole storie di vita quotidiana che lo hanno reso famoso, fino a ieri materia viva di canzoni, oggi di una serie di poesie presentate alle più recenti Giornate letterarie di Soletta.
«Leggo il feuilleton da Pyri / Davanti a me una Wurst piccante / Allo stesso tavolo una tizia ne beve uno di troppo / Ovunque ci si sieda / In bettola o in privato, c’è sempre qualcuno che parla / Anche se tu non ne hai voglia / Per necessità vado a fumare, ma la blaterona mi segue / E poi viene anche il suo blaterone, e così blateriamo in tre / Ma per fortuna c’è Orient Taxi/ Sono al verde e mi faccio portare a credito, grazie Mustafà / I soldi te li ridò lunedì / Finalmente uno che ascolta, uno che ascolta, lavora e tace» (da Spoken Word)
Oggi Endo, dopo un passato di dipendenze intermittenti, beve solo acqua minerale, «Mineralwasser mit Gas», che vista l’astemia autoimposta per cause di forza maggiore, diventa Kriminalwasser, l’acqua dei o per i criminali. Endo è pulito e si trova nel mezzo di una tournée impegnativa, che toccherà molte località svizzere, e che lo vedrà mettersi in gioco per tenere testa a pubblici che non smetterebbero mai di ascoltare le sue storie di vite quotidiana, a volte grottesche, a volte ingarbugliate in giochi di parole sagaci e surreali.
Endo Anaconda, Visp, Thun, Soletta, Coira, Zurigo… la sua tournée d’addio durerà ancora molti mesi: com’è stato ritornare a cantare dopo la pandemia? Comeback o nuovo inizio?
È stato un po’ entrambe le cose. Ho vissuto una situazione quasi ovattata, ma ho avuto anche del tempo per scrivere. A stare tanto a lungo isolati c’è però anche il rischio di rincretinire (scoppia a ridere), perché non si incontrano più gli amici e mancano i contatti sociali. In realtà io volevo smettere, perché nel frattempo sono un pensionato, ma ho deciso che andrò avanti, anche senza la band: vorrei esibirmi semplicemente accompagnato da un piano o una chitarra.
Le sue canzoni sono piene di persone e microstorie, lei deve essere un grande osservatore…
Sì, e in fondo sono anche timido, mi piace stare soprattutto nei luoghi dove non mi conosce nessuno e dove posso osservare in tranquillità. In realtà non faccio mai veramente parte delle cose, sono una specie di clandestino (in italiano NdR)
Il genere umano le è dunque caro?
Certo, amo tutti. Siamo tutti un po’ asini, dei grulli (in it. NdR), ma tutto sommato non siamo male, anche perché l’essere umano è dotato della facoltà di imparare, e questa è una cosa che mi commuove profondamente. Purtroppo, c’è gente che non è in grado di apprendere, ma ciò ha a che fare con il potere. Io ho un po’ una sindrome borderline, non ho paura di niente e di nessuno, e non sono disposto a scendere a compromessi. Per me gli esseri umani hanno tutti lo stesso valore, dal Consigliere federale al drogato, ma non sopporto chi si dà delle arie.
Lei vive in una località isolata dell’Emmental. Qual è il suo rapporto con la digitalizzazione?
Possiedo solo un cellulare per pensionati, ma sono sicuro che in futuro questi cellulari saranno indispensabili. Spero solo che non serviranno più per conoscere nuove persone. Mi rendo però conto di come attraverso il cellulare i giovani riescano a mobilitarsi e a organizzarsi, pensiamo alla gioventù per il clima. Dall’altra parte quegli stessi giovani sono completamente controllabili. Non siamo più a 1984 di Orwell, ma a Brave New World di Huxley.
Chi sono i suoi punti di riferimento musicali?
Amo molto Bob Dylan, che ha appena compiuto ottant’anni, e questo dice già tutto. Mi piace Vasco Rossi e ho una passione per i cantautori italiani come Guccini o De André.
Una sua celebre canzone si chiama Spoken Word: si considera un po’ il padre di questo genere poetico?
Per amor del cielo, ho già tre figli di 28, 21 e 13 anni, non ho bisogno di essere anche padre di un genere poetico! Inoltre, ho a che fare con tre madri diverse, cosa non sempre facile...
Lei ha partecipato alle Giornate di Soletta 2021 presentando le sue poesie in Hochdeustch. Si dedicherà alla poesia in futuro?
Credo che si tratti di due facce della stessa medaglia, la poesia ha a che fare anche con la musicalità e il ritmo. Per me la divisione tra poesia e musica non esiste. Il problema è che se vieni dalla musica non ti prendono sul serio a livello letterario! Vorrei ritornare in Austria per un po’, per le persone e per la lingua: non ho più voglia di produrre in dialetto svizzero tedesco. In questo momento il problema del dialetto in Svizzera è dato dal fatto che è utilizzato solo per guardare il proprio ombelico. A volte mi sembra un costrutto, öisi Mundart. Negli anni 80 era diverso, c’erano i movimenti giovanili che intervenivano a livello sociale e politico in dialetto.
In rete si trovano molte testimonianze di suoi interventi in favore delle giovani generazioni e della gioventù per il clima. Si considera un cantante politico?
Proprio recentemente è stata respinta una legge per il clima, ma non da parte dei giovani. A volte penso che si dovrebbe togliere il diritto di voto alla gente sopra i settant’anni… In Svizzera si tratta della generazione che possiede la maggior parte della superficie abitabile e del patrimonio. Ci sono certamente anche molte persone anziane povere, ma non mi riferisco a loro. Penso a quei privilegiati che non fanno che votare contro il futuro, contro le nuove generazioni.
Prendiamo la questione climatica: è dal 1972 che la scienza ci va ripetendo che occorre cambiare direzione di marcia, se non vogliamo assistere a mutazioni importanti. Ma noi in Svizzera siamo arrivati addirittura a demonizzare la gioventù per il clima, criminalizzando le sue azioni. (Riflette) Mi vengono in mente i rifiuti nucleari: si cerca un posto dove stoccarli per un milione di anni, ma se qualcosa va storto cosa faranno? Istituiranno una Hotline da chiamare? Stiamo parlando di un milione di anni, e dalle insurrezioni di Spartaco a Roma, fino al diritto di voto delle donne in Appenzello sono passati solo 2100 anni!
A questo punto le chiedo qual è la sua relazione con la Svizzera…
Io la definisco una democratura finanziaria. In una dittatura alle domande difficili si obietta con risposte facili, mentre in democrazia le domande facili vengono elaborate in modo estremamente complicato. Noi siamo da qualche parte nel mezzo. Ho l’impressione che molti svizzeri siano schiavi di ipoteche e leasing, e questo non permette loro di avere delle visioni: c’è una paura terribile di vedere crollare il proprio progetto di vita, che in media in Svizzera viene elaborato a cinque anni! D’altra parte è una situazione un po’ schizofrenica, perché sono anche contento di essere qui, l’infrastruttura funziona…
E politicamente come si situa?
Sono ancora marxista, ma mi riferisco a Groucho, Chico, Harpo Marx (scoppia nella sua risata gutturale)! Secondo me gli anni 70 vanno rivalutati: ad esempio in Italia con il compromesso tra la sinistra e la Democrazia Cristiana, si legittimarono divorzio e aborto e sono cresciuti i sindacati. Io comunque sono un comunista.
Cosa pensa di questo momento storico, dettato da grandi incertezze?
Sono scettico per quello che riguarda il futuro della nostra civiltà, votata alla finanza, ma allo stesso tempo mi sento fiducioso per il futuro dell’essere umano. Credo che dobbiamo tornare a una condizione più naturale. In fondo, da un punto di vista filosofico e non militare, ci troviamo in una situazione pre-rivoluzionaria. Pensiamo al Monte Verità e a quel gruppo di «pazzi»: è a loro che dobbiamo la nascita di idee importanti, che hanno condotto verso il futuro, e non mi riferisco solo ad aspetti culturali e artistici, ma anche sociali.
(Riflette)
Per me il fatto che qualsiasi essere vivente possa guardare indietro fino al Big Bang è simbolo dell’eternità e dell’infinito, ma la nostra società purtroppo pensa in termini trimestrali.
Due patrie e praticamente due lingue materne, quella del padre e quella della madre. Com’era il rapporto con sua madre?
Mia madre mi ha rinnegato, soprattutto dopo il mio coinvolgimento in un episodio che le ha portato in casa la polizia federale. Il nostro era un rapporto molto teso. Dopo la morte di mio padre ci ha portati a Karnten, io avevo cinque anni e mi sono ritrovato in una nuova famiglia, con parenti traumatizzati dalla guerra, persone brutali, che alzavano spesso le mani.
Ho trascorso alcuni anni in un istituto cattolico in cui regnavano sovrani abusi e violenze, ma fortunatamente ero uno che le dava indietro se le prendeva. Era l’unico modo per sopravvivere, perché vigeva la legge del più forte, anche tra i bambini. Io impazzivo quando venivano presi di mira i più piccoli. Il primo giorno i grandi mi hanno chiesto di pulire le loro scarpe: l’ho fatto. Il secondo anche. Il terzo giorno sono andato da un «grande» e gli ho detto che non capivo perché dovevo pulirgli le scarpe: mi ha risposto che lo dovevo fare se non volevo prenderle. Ci ho dormito sopra, e quando il quarto giorno mi ha detto di pulirgli le scarpe, bam, gli ho tirato. Da quel giorno non ho mai più dovuto pulire le scarpe, ma nemmeno i piccoli che sono arrivati dopo di me.